Usiamo Tinder perché:
– hai visto mai, esco con qualcuno questo weekend. Essere single non è poi così male!;
– sai che c’è? male che va ho visto un locale nuovo;
– sicuramente la serata non finirà all’aperitivo VS tre bambini, il frigo pieno e ah, il labrador che corre in giardino.
Quando facciamo una scelta, valutare i pro e i contro ci aiuta a decidere. Ecco, allora è bene sapere che i pro – chiamiamoli vantaggi o anche benefici – non sono tutti uguali. Ne esistono, infatti, almeno di tre tipi: diretti, indiretti e i cosiddetti “aspirazionali”. E sì, confonderli potrebbe essere un problema. Pensiamo all’esempio di Tinder: decido di iscrivermi perché esco con qualcuno. Questo è un beneficio diretto, immediato, direttamente collegato alla scelta di creare un profilo. Se però la persona con cui esco non dovesse rivelarsi quella che credevo, esserci uscito potrebbe comunque avere qualche lato positivo. Si delinea così un beneficio collaterale: non è l’obiettivo primario, ma è indirettamente legato alla scelta di iscrivermi. Potrei anche essere così fortunato da trovare tutto ciò che stavo cercando e che, con il tempo, questo si strutturi in una realtà ben più articolata. Ma si tratta di una aspirazione, la possibile evoluzione di un beneficio nel tempo.
Mentre decidere di iscriverci a Tinder perché così finalmente riusciremo a uscire con qualcuno (quindi aspettandoci un beneficio diretto) è ragionevole, farlo con l’intento di trovare la persona della vita con cui dividere una casa e un labrador (beneficio aspirazionale) potrebbe essere pericoloso. Eppure.
L’idea di individuare tre categorie di possibili benefici che derivano da una scelta nasce originariamente dall’esigenza di aiutare i pazienti che valutano l’ipotesi di entrare in una sperimentazione – vale a dire uno studio in cui vengono testati sull’uomo nuovi farmaci – a capire, effettivamente, che tipi di benefici possano aspettarsi. Infatti, uno dei problemi più annosi nell’etica della ricerca è spiegare che in una sperimentazione i benefici non sono tutti uguali. Ci sono benefici diretti, quelli che derivano direttamente dal trattamento oggetto della sperimentazione: a un paziente con un tumore alla fase iniziale viene somministrato un farmaco sperimentale che rallenta la crescita del tumore. Poi ci sono benefici collaterali, che sono in qualche modo riconducibili alla sperimentazione, ma non sono direttamente legati al trattamento. A un paziente viene somministrato un farmaco sperimentale che purtroppo non riesce a rallentare la crescita del suo tumore; tuttavia l’arruolamento in sperimentazione permette al paziente di ricevere visite mediche e assistenza da parte dello staff clinico che si traducono in un beneficio indiretto: un cosiddetto beneficio collaterale. E poi ci sono i pericolosissimi benefici aspirazionali, benefici che potrebbero forse, un giorno, emergere dai risultati dello studio. Se un tumore è molto avanzato, per cui le linee di terapia tradizionali e sperimentali disponibili non hanno, purtroppo, portato a risultati soddisfacenti in termini di benefici diretti, il paziente può decidere di assumere un farmaco sperimentale per il – diciamo così – bene della società, quindi con la speranza – beneficio aspirazionale – che, un giorno, i risultati raccolti dai ricercatori possano aiutare qualcuno affetto dalla stessa malattia. Mai confondere questi tre tipi di benefici quando si fa una scelta.
Valutare quali sono i benefici diretti, quindi quelli che veramente incidono sul paziente, senza confonderli con quelli collaterali o – ancora peggio – con quelli aspirazionali – è fondamentale, perché quando si fa una scelta è essenziale comprendere quali tipi di benefici è effettivamente realistico aspettarsi. Ma questa operazione è allo stesso tempo molto difficile. In altri termini, se un paziente con un tumore molto avanzato decide di entrare in una sperimentazione per guarire, quando gli unici benefici che la sperimentazione può veramente offrire sono, se ci saranno, solo per pazienti futuri, allora il paziente non ha capito ciò a cui stava dando il suo consenso. Questo è un problema, ed è anche molto serio.
Ma se ci pensiamo bene, l’attribuzione di benefici alla categoria sbagliata è un errore che non riguarda soltanto i pazienti: può riguardare tutti noi, nelle nostre scelte quotidiane (pensiamo all’esempio di Tinder). Quando, per compiere una scelta, cerchiamo di pensare ai pro e ai contro, vantaggi e svantaggi, o – in altri termini – benefici e rischi – nessuno si sofferma più di tanto a valutare qual è, realmente, la categoria dei benefici di cui stiamo parlando. Che, a dire la verità, sarebbe l’aspetto più importante perché ci permetterebbe di costruire un quadro di aspettative realistiche. Invece, no. Quando scegliamo, i nostri desideri – quindi ciò che noi vorremmo succedesse – orientano inevitabilmente l’attribuzione dei vantaggi a questa o a quella categoria, restituendoci una visione distorta della realtà. Ed è così che i vantaggi aspirazionali – quindi quelli che, forse un giorno remoto, potrebbero verificarsi – vengono percepiti da noi come vantaggi diretti, immediati. Un paziente che ha un tumore avanzato spera fermamente che la terapia sperimentale possa aiutarlo e mutare l’irreversibilità comprovata della sua condizione. Per questo motivo, è portato a vedere vantaggi diretti dove ce ne sono solo di aspirazionali. Allo stesso modo, se mi iscrivo a Tinder perché so che troverò l’uomo o la donna della mia vita, ho evidentemente preso dei benefici aspirazionali per benefici diretti. Insomma, quello che noi vorremmo, influenza sensibilmente la nostra valutazione.
E, allora, forse dovremmo essere più razionali e fermarci un momento, prima di scegliere, per capire quali sono realmente i benefici di cui stiamo parlando e quelli a cui possiamo aspirare. Forse dovremmo renderci conto che spesso, quelli che noi prendiamo per diretti, sono in realtà benefici aspirazionali. Ci aiuterebbe a evitare di coltivare false aspettative. A rimanere con i piedi per terra. Poi, nessuno ci vieta di scegliere un percorso perché, per noi, quel beneficio aspirazionale vale più di tutto il resto. Ma dovremmo sceglierlo sapendo che la probabilità che si verifichi è remota, se non altro lontana.
E invece, quando si tratta di scegliere, una sorta di atteggiamento irrazionale – che poi forse altro non è che un tentativo di rimanere vivi – ci porta a percepire ciò che veramente desideriamo come uno scenario possibile, afferrabile. Come qualcosa per cui vale la pena di mettersi in gioco. E allora, forse, alla fine va bene così.