Liberalizzazioni immaginarieGare: diffuse e frequenti. Altrimenti meglio non farle e quindi ciaone al trasporto pubblico locale

L’Italia cresce poco; e questa manovra non passerà alla storia per essere un ricostituente della nostra economia. Tra le misure che mancano con maggiore evidenza all’appello, una seria spending rev...

L’Italia cresce poco; e questa manovra non passerà alla storia per essere un ricostituente della nostra economia. Tra le misure che mancano con maggiore evidenza all’appello, una seria spending review è quella dai benefici più immediati e facilmente calcolabili. Non si tratta di rinunciare al finanziamento della fiera dello gnocco fritto – nobile iniziativa – o a chissà quale taglio lineare a discapito di scuole, sanità o pensionati. Per chi fa impresa metter mano alla spesa pubblica vuol dire rendere più razionale ed efficiente un settore che, se gestito secondo gli standard dell’imprenditoria, potrebbe contribuire alla crescita del Pil, all’aumento dell’occupazione e alla competitività dei territori.

Da oltre due anni, questo giornale ospita i miei interventi sulle liberalizzazioni: storie di malagestione, denunce di casi viziati da conflitti di interesse e corruzione. Tuttavia, ci tengo a non passare per quello che protesta e basta. Di natura sono un ottimista e un ostinato. Non farei questo mestiere. Sono quindi certo che concorrenza e libero mercato siano occasioni imperdibili per il nostro Paese. E non mi stancherò mai di ripeterlo: liberalizzazioni e privatizzazioni non sono la stessa cosa. Fanno rima, ma non sono sinonimi.

È con questo spirito che Anav Lombardia ha tenuto la sua assemblea un paio di settimane fa. Ed è per questo che l’abbiamo intitolata “Gare contendibili, opportunità di sviluppo”. Gare, sì: la procedura madre per fare del trasporto pubblico locale un attore di mercato; come anche indicato dal Regolamento europeo 1370/2007 (art.5). Gare, e per giunta fatte in un certo modo: diffuse sul territorio nazionale (quindi anche in Lombardia), contendibili, ovvero aperte a tutte le imprese di qualunque dimensione, quindi su bacini dalle misure realistiche, gare ben costruite, ben gestite, sul ferro e sulla gomma.

Troppa ambizione? Al contrario. La nostra posizione è stata scientificamente supportata dal prezioso studio di Andrea Giuricin (Milano-Bicocca), “Un sistema Tpl in vera concorrenza a vantaggio dei consumatori”, che mette in evidenza come il 70% del nostro settore – che complessivamente fattura, tra pubblico e privato, 12 miliardi di euro l’anno – sia escluso dal libero mercato. Affidamento diretto oppure in house sono le pratiche adottate più frequentemente per l’assegnazione dell’appalto. Così facendo ne va dell’efficienza del servizio di trasporto per gli utenti, della spesa degli enti locali (che mantengono soprattutto il personale delle aziende municipalizzate), e dello sviluppo tecnologico del settore. Concordo quindi con Giuricin quando dice che “un paese dove non c’è gara è un paese fuori dalla corsa europea e mondiale della mobilità”.

Già il prossimo anno, l’Expo di Dubai avrà proprio la mobilità come concept dell’evento. Come si presenterà l’Italia a quella grande kermesse? Con i mezzi dell’Atac che a Roma bruciano per autocombustione, oppure che pigliano dentro alberi come se fossero birilli? Oppure porterà all’attenzione internazionale gli esempi di appalti assegnati, ma le cui procedure sono finite nelle mani della Procura? Penso a Parma, Pavia, alla Toscana… La cosa ancora più triste è che nel momento in cui andiamo a fare un’analisi anche dei casi spesso considerati più efficienti in Italia, per esempio Atm a Milano, è possibile renderci conto che la distanza dalle best practice europee è ancora molto elevata. All’ombra della Madonnina infatti la liberalizzazione è soltanto di facciata. Perché il vincitore è sempre stato facile da individuare. E ancor più lo sarà qualora partisse il progetto di Milano Next, quell’ente o consorzio sotto il cui ombrello confluirebbero Atm, A2A, Busitalia, controllata da Fs, la giapponese Hitachi che ha rilevato la Ansaldo Sts nel segnalamento ferroviario, oltre a Commscon e IGPDecaux. L’idea è di assegnare il completo servizio di trasporto pubblico dell’area metropolitana di Milano a un unico soggetto, attraverso un project financing, quindi senza aver celebrato alcuna gara. Di conseguenza, si creerebbe un mega-lotto che, come è stato rilevato in altre occasioni dalle autorità competenti (Agcm, Art, Anac), costituisce l’anticamera di un monopolio di fatto.

Che peccato! L’ex municipalizzata del Tpl milanese si atteggia a temeraria fuori dal suo bacino d’utenza – vedi la gara vinta per la gestione della metropolitana di Copenaghen, oppure la partecipazione a quella di Lille, in Francia – ma smette questi panni quando si tratta di giocare in casa. Perché? Perché rifiutare di prendere parte a un’opportunità di sviluppo com’è quella di mettersi in gioco, concorrendo contro altre aziende – pubbliche o private che siano – a una sfida di crescita, innovazione e creazione di nuovi posti di lavoro?

Negli anni, fonti autorevoli hanno dimostrato l’efficacia di una strutturata e organica campagna di liberalizzazioni. Sia come spinta all’innovazione da parte delle imprese che parteciperebbero alle gare, sia come esternalità positive per l’economia. Anche la Cassa depositi e prestiti, di recente, ha sostenuto che il Tpl potrebbe contribuire a una crescita del Pil per oltre 4 miliardi di euro l’anno, creando 600 mila posti di lavoro aggiuntivi in un quinquennio.

Insomma, il Tpl si trova di fronte a un cambiamento epocale. Sulla scia della mobility revolution, le occasioni di sviluppo sono innumerevoli. Gli autobus a conduzione autonoma sono usciti dalla fase sperimentale. In Cina sono già all’ordine del giorno e nell’arco di un decennio si può ipotizzare che circoleranno sulle strade europee. Serve però che le istituzioni superino la loro storica tendenza agli sprechi, ai conflitti di interesse, ai particolarismi individualistici, alla corruzione. Allo stato attuale delle cose infatti, le gare restano poche, sostanzialmente non contendibili, a volte costruite ad hoc e con una preoccupante tendenza a privilegiare gli aspetti formalistici rispetto a quelli sostanziali. Viene da dire che, fatte così, le gare tanto vale non farle.

Tuttavia, come ho detto all’inizio, non voglio passare per il declamatore di un cahier de doléances di un settore produttivo. Le imprese che io rappresento in qualità di Presidente di Anav Lombardia, sono realtà con i bilanci in ordine e modelli di innovazione e sostenibilità ambientale. Le loro storie, alle volte lunghe un secolo, e le loro progettualità meriterebbero di essere prese come esempio da seguire per stimolare un comparto che ha tutte le carte in regola per contribuire allo sviluppo dei territori, alla loro competitività e attrattività per gli investimenti.

E qui entra in gioco la Lombardia, regione che più di ogni altra può diventare la culla della discontinuità. Qui sono scaduti quasi tutti i contratti. Di conseguenza, tra la fine di quest’anno e l’inizio del 2020, dovrebbe aprirsi un’altra stagione di gare. Nonostante il rapporto su base nazionale 70% pubblico e 30% si rifletta anche in casa nostra, come spiega bene Giuricin le liberalizzazioni avrebbero, già soltanto in territorio lombardo, un impatto economico di oltre 700 milioni di euro. Carpe diem, dico io. A me piace pensare che Milano, e con essa la Lombardia, possa contribuire, a livello italiano per non dire europeo, a scrivere questa emozionante esperienza di innovazione che rientra nella mobility revolution. Per questo però è necessaria una grande rivoluzione di mercato.

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