Due cose hanno in comune i pendolari della tratta Milano-Mortara (una linea tra le tante) e gli utenti dell’Alta velocità Milano-Roma, senza distinguo tra Frecce di Trenitalia e Italo. Il fatto di viaggiare su una linea gestita da Rete ferroviaria italiana (Rfi). Per linea intendo proprio l’infrastruttura: binari, segnaletica, eccetera. E, ancora, il progressivo e spaventoso ritardo di cui sono vittime entrambe le corse. Ma non solo.
Ora, mi rendo conto che, parlando di queste cose, ci sia il rischio di buttarla nel qualunquismo. Treni in ritardo, governo ladro e luoghi comuni simili sappiamo a cos’hanno portato in passato questo Paese. Tuttavia, i rilevamenti degli ultimi mesi mi hanno portato a osservare l’involuzione di un fenomeno sociale. Involuzione: problema quindi, sia in termini culturali che imprenditoriali.
Fino a poco tempo fa, tra gli utenti dell’Alta velocità e quelli delle linee regionali c’era un distinguo di classe. Chi viaggiava sulla Milano-Roma – tratta di establishment per eccellenza – veniva visto come titolare di un diritto di puntualità che invece non spettava ai paria della Milano-Mortara. Diritto di puntualità privo ovviamente di un qualsiasi costrutto giuridico (e fornito di un sistema di parziale rimborso, in caso di ritardi elevati, strumentalmente bizantino per allontanare coloro che hanno fretta: solo dopo 24 ore dalla fine del viaggio, infatti, ci si può rivolgere a Trenitalia per conoscere se quel dato ritardo può essere considerato tale). Però tant’era. Visto che il business si fa tra le due capitali d’Italia, ufficiale e morale, non aveva senso dar peso a tutto il resto. Tanto il pendolare, per definizione, è una categoria sociale “sfigata”. Se non si lamenta del ritardo, lo fa della scarsa pulizia dei treni, oppure della poca sicurezza. Il pendolare è un lavoratore fantozziano, che ogni mattina si sveglia a orari improbabili e – guarda quant’è davvero sfigato! – porta l’acqua con le orecchie per la crescita del nostro Pil. Chi invece sale sul Milano-Roma è diverso. Prima di tutto è un business traveller. Guai a chiamarlo passeggero! Va trattato con i guanti bianchi: giornali, snack, wifi a bordo e tutte cose. Ergo, merita di arrivare in tempo ai suoi mille meeting. Altrimenti i danè non girano e il Pil s’affloscia. Distinguo sociale discutibile fin che si vuole, ma c’è poco da dire sul fatto che le linee secondarie siano da sempre la Cenerentola del sistema ferroviario italiano.
Ora, proprio per un processo involutivo che penso non abbia pari nel resto del mondo, la qualità del servizio non è cresciuta per i pendolari, anzi è peggiorata. E altrettanto è successo per l’Alta velocità. Il sito noipendolari.it ha monitorato, nel 2018, oltre 115mila corse su base nazionale. Di queste il 61,4% ha accumulato un ritardo complessivo di 609.941 minuti. Numeri che si riflettono, nello stesso arco di tempo, per l’Alta velocità: circa 110mila corse, delle quali 61,1% in ritardo.
Per disservizio, siamo quindi al ricongiungimento di due categorie sociali, che fanno parte di una vera e proprio popolazione ferroviaria. Il rapporto Pendolaria 2018, redatto annualmente da Legambiente, parla infatti di 2milioni e 874mila passeggeri che usufruiscono quotidianamente del servizio ferroviario regionale, cui si aggiungono altri 2,7 milioni che, sempre ogni giorno, prendono le metropolitane, presenti in 7 città italiane (Milano, Roma, Napoli, Torino, Genova, Brescia e Catania), più 40mila persone sugli Intercity e infine 170mila sull’Alta velocità. Fasce di viaggiatori tutte in espansione. Per una più accurata cultura del tema, suggerisco la lettura dell’intero rapporto. Qui ci basta prendere atto dei grandi cambiamenti, in volumi e identità, della mobilità nazionale. Cambiamenti che procedono coerentemente con le evoluzioni degli altri Paesi, evoluzioni che rispondono alle innovazioni tecnologiche e a quelle del modo di viaggiare, lavorare e vivere della nostra società.
Cambiamenti ai quali, al contrario, Rfi – società pubblica, partecipata al 100% da Ferrovie dello Stato e con funzioni di gestore dell’infrastruttura ferroviaria nazionale – sembra essere ricettiva solo a parole. Presentando il piano industriale 2019-2023, il Gruppo Fs, quindi la mamma di Rfi, ha parlato di 42 miliardi di euro di risorse da dedicare alle infrastrutture. Di cui 28 per le opere ferroviarie e 14 per le strade. “Il primo risultato concreto di quest’iniezione massiccia di investimenti – si legge nel documento – sarà l’accelerazione di 1.600 cantieri Rfi e Anas in tutta Italia”. Anas, per la cronaca, è anch’essa della stessa famiglia.
È un bel piano! Tuttavia, presentato a maggio, sembra che non sia stato compiuto neanche il primo passo. Siamo però in pratica alla fine del primo dei cinque anni sui quali si svilupperebbe l’operazione. È vero, pochi giorni fa, Rfi ha dovuto metabolizzare la pesante accusa di disastro colposo, con cui la Procura di Milano ha chiuso le indagini sul disastro di Pioltello di gennaio 2018. Accusa che porterà a un processo nel 2020. Ma questo non dovrebbe rallentare i lavori di implementazione della rete. Anzi, dovrebbe fare da incentivo e soprattutto da prevenzione. E altrettanto non dovrebbero essere fonte di distrazione, da parte di Fs, né la gestione di Anas né le ambizioni di entrare nella cordata per salvare Alitalia.
Tuttavia c’è, come dicevo all’inizio, un problema culturale e imprenditoriale. Nonostante il parziale libero mercato del servizio ferroviario, l’infrastruttura su cui viaggiano i treni è saldamente nelle mani dello Stato. Su questo nessuno avrebbe da dire, se il fornitore garantisse efficienza, qualità e sicurezza all’intero servizio. Ma abbiamo visto che così non è. I ritardi, che accomunano Alta velocità e treni secondari, nascono da un mancato ammodernamento delle linee, che grava sugli utenti – gap culturale tra la mobilità 4.0 e il servizio – e sul sistema imprenditoriale. Se un giorno le tratte ferroviarie regionali dovessero essere messe in concorrenza, nessun privato oserebbe investirci un quattrino. Chi infatti si sognerebbe di prendere in gestione una Milano-Mortara il cui tracciato è ancora quello dell’Unità d’Italia? Le liberalizzazioni hanno funzionato per l’Alta velocità, quando il privato ha visto lungo e ha pensato di scommettere su una categoria di viaggiatori, business e turisti, di alto livello. Sperava che, almeno lì, la chimera italiana dei treni in orario potesse realizzarsi. Si era illuso. Vista la situazione, per altri servizi, non conviene nemmeno iniziare a sognare. Ci rendiamo però conto delle conseguenze.
Pubblichiamo una precisazione arrivata dall’ufficio stampa di Rfi in data 15 novembre.
In relazione all’articolo Regionali e Alta Velocità uguali… nei ritardi. Citofonare Rfi, pubblicato su Linkiesta.it, precisiamo che il mantenimento degli elevati standard di qualità, sicurezza e affidabilità dell’infrastruttura ferroviaria sono i principali obiettivi della missione di Rete Ferroviaria Italiana.
L’attività di manutenzione, operata da RFI in base a processi certificati dall’Agenzia Nazionale per la Sicurezza Ferroviaria (ANSF), su tutto il territorio nazionale, è orientata a mantenere in efficienza un sistema complesso, che coinvolge sia le opere civili (ponti, gallerie, viadotti) sia le più sofisticate tecnologie del settore ferroviario.
L’autore attribuisce al presunto mancato ammordernamento delle linee i ritardi registrati sulla rete. Non è così. La domanda di trasporto ferroviario è sensibilmente cresciuta negli ultimi anni per soddisfare un pubblico sempre più ampio, sia sulle relazioni a lunga distanza sia nei nodi metropolitani. Questo ha determinato un incremento del numero di servizi offerti, con la progressiva saturazione di alcune linee e stazioni. È vero, la puntualità aveva raggiunto livelli non accettabili: proprio per questo motivo solo nel 2019 sono stati investiti 1,1 miliardi di euro per interventi mirati ed è stata istituita una task force dedicata alla puntualità che si riunisce costantemente per identificare i problemi e trovare soluzioni efficaci. I primi effetti sono più che incoraggianti e ci hanno permesso di passare dal 50% di treni AV in arrivo in orario del 2018 a circa il 70% medio degli ultimi mesi. Per il traffico regionale la percentuale di treni in arrivo supera il 91% con +4% di miglioramento rispetto allo scorso anno.
Il nuovo orario invernale, in vigore dal 15 dicembre 2019, è stato progettato per migliorare ancora le performance della rete, grazie alle nuove linee guida definite per l’assegnazione delle tracce orarie (i cosiddetti slot) per ogni treno nella fase di costruzione dell’orario ferroviario complessivo: treni AV, media lunga percorrenza, regionali, merci e di connessione con gli slot orari delle reti estere per il traffico internazionale. Linee guida che hanno come obiettivo la ridistribuzione dei traffici per evitare il sovraccarico delle linee soprattutto nelle fasce orarie più critiche, quelle con maggiore flusso di persone in viaggio.