La scuola reagisce al coronavirus. Dopo un periodo iniziale di comprensibile spaesamento, infatti, gli istituti delle regioni interessate dalle chiusure della prima ora si sono rimboccati le maniche quasi compatti per garantire la continuità della didattica. Secondo un sondaggio effettuato in questi giorni da Skuola.net – su un campione di 2.500 studenti di medie e superiori – in 7 casi su 10 la scuola si è ormai attrezzata con formule di insegnamento ‘a distanza’. Molto spesso (più di 6 casi su 10) con la partecipazione della maggior parte del corpo docente. Un dato in netto miglioramento rispetto a quanto rilevato nei primi giorni di applicazione dei provvedimenti restrittivi, quando solo 1 studente su 5 aveva ricevuto dalla scuola istruzioni per poter proseguire l’attività didattica a distanza
I professori si organizzano anche da soli
E laddove l’istituto non è ancora riuscito a partire sono i professori che si sono organizzati in autonomia, soprattutto assegnando – via mail o chat – compiti o argomenti da approfondire per restare al passo coi programmi: succede a 3 ragazzi su 4. Un ottimo esempio per le altre regioni che, con l’estensione dello stop alle lezioni frontali in tutta Italia, dovranno dimostrare di essere all’altezza di chi le ha precedute. Anche se, vale la pena ricordare, le aree coinvolte sinora sono quelle dove il digitale applicato alla relazione scuola-studenti-famiglia risulta un po’ più sviluppato.
Si sfruttano tecnologie che già si conoscono
Basti pensare che, solo un mese fa, in queste regioni più dell’80% delle famiglie è riuscito a compilare autonomamente la procedura di iscrizione online, contro una media nazionale del 70% e minimi come quelli di Campania, Calabria e Sicilia dove si scende attorno al 40%. Perciò, se da una parte è ancora presto per capire come reagiranno nei prossimi giorni i territori in cui le chiusure sono iniziate oggi, dall’altra la tipologia di mezzi impiegati per la didattica a distanza tende a rispecchiare la situazione di partenza: le scuole hanno usato gli strumenti che già avevano a disposizione.
Il registro elettronico salva la vita a molte classi
Quali sono? Per quasi la metà degli studenti (47%, con un picco del 56% nelle scuole medie) lo ‘smart learning’ si sta appoggiando sulle funzionalità avanzate del registro elettronico (classi virtuali, chat collettive, ecc.). Tecnologicamente più evoluto, in media, il 36% (qualcosa in più alle superiori), che ha adottato piattaforme per svolgere lezioni interattive in video-conferenza (come, ad esempio, Microsoft Teams e G Suite, per citare i più diffusi). In genere, le piattaforme più sofisticate vanno di pari passo con l’uso nella quotidianità di tablet e pc personali da parte degli studenti. E dai dati rilevati da Skuola.net a inizio settembre emerge che tale dotazione, al Nord, è ad appannaggio di 1 studente su 3; i conti tornano. Solo il 17% dei ragazzi, infine, sta interagendo con i docenti attraverso sistemi di più semplice utilizzo ma anche più limitanti (mail, chat, social network).
Lezioni ancora poco interattive
Nel pratico, invece, la didattica si mantiene quasi sempre su canoni tradizionali. Così, il 60% riceve dai professori esercizi e compiti da svolgere (e correggere) a distanza; meno di un quarto (23%, un dato che alle medie scende al 15%) ha docenti che svolgono lezioni in diretta video; al 12% gli insegnanti inviano materiali sugli argomenti che non è stato possibile spiegare ‘dal vivo’; il 4% può contare su video-lezioni registrate e caricate online dalla scuola. Non manca, però, qualche insegnante che si spinge oltre: per 1 studente 5, assieme alla didattica sono arrivate anche interrogazioni e verifiche scritte ‘a distanza’.
A casa troppe distrazioni, meglio la didattica frontale
Nonostante ciò, i ragazzi si mostrano dubbiosi sulla bontà di questi metodi. Vada per la situazione d’emergenza, ma per il 54% le lezioni effettuate in classe sono un’altra cosa. Il motivo? Per il 40% di loro seguire da casa è quasi impossibile, troppe distrazioni; per il 25% si capiscono poco le spiegazioni; per il 14% i docenti non sono abituati a interagire in questo modo; un altro 14% sostiene che le valutazioni date potrebbero essere falsate. E poi ci sono quelli che raccontano di professori che, sfruttando il fatto che gli alunni non devono perdere tempo per andare e tornare da scuola, li stanno caricando di compiti; come se la giornata scolastica da remoto durasse più delle 5-6 ore normali.
Cosa accadrà nel resto d’Italia?
Ora, però, la palla passa al resto del Paese. Dal 5 marzo le scuole sono state chiuse anche nelle regioni apparentemente lontane dai focolai di coronavirus. Una decisione, quella del Governo, contestata da molti ma che trova l’appoggio degli studenti interessati dalle nuove chiusure: il 74% è d’accordo. Forse perché gli istituti, negli ultimi dieci giorni, non hanno fatto granché per allontanare i rischi: solo 1 su 4 ha avuto a disposizione strumenti per disinfettarsi le mani, al 52% la propria scuola ha solo illustrato le norme di comportamento diffuse dal ministero della Salute, al 22% neanche quelle. Inoltre, solo il 38% riporta di interventi straordinari per igienizzare gli ambienti.