di Francesco Carini – Homo Sum
«Tutto quello che vi accadrà nella vita, dipenderà da come voi siete capaci di stare con la mafia o di lottare contro la mafia, perché, amici miei, anche questa è un’illusione che io vi debbo togliere… Noi siamo con la mafia, noi non siamo contro la mafia, noi facciamo qui i dibattiti, convogliamo con un applauso, ce ne andiamo a casa tutti contenti, ma poi siamo con la mafia, perché domani, voi ancora non votate, forse alcuni votano, ma domani voi per avere un posto, una raccomandazione, per avere qualsiasi cosa alla quale magari avete diritto, ma non vi concedono, voi voterete per un politico mafioso e diventerete non solo schiavi ma anche complici della mafia. Noi viviamo dentro un sistema mafioso del quale tutti siamo complici. E la scuola questo dovrebbe fare, dovrebbe spiegare alla gente cosa sta accadendo […]».
(Pippo Fava, 20/12/1983)
Domani, 23 maggio ricorre l’anniversario della morte di Giovanni Falcone, ucciso insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli uomini della scorta 28 anni fa nella strage di Capaci. Ci saranno commemorazioni diverse rispetto agli anni precedenti per via del Covid-19, ma quasi tutte accomunate da una sincera partecipazione emotiva di gente che ha sofferto per la fine riservata a uno fra i magistrati migliori della storia. Accanto a queste persone, potrebbe poi esserci una platea che di Mafia francamente se ne frega, ne sa poco o si gira dall’altro lato quando ad essere presa in considerazione non è la mafia militare, bensì la borghesia mafiosa o la zona grigia, sviando l’attenzione da alcune cause della forza della Mafia, difficili da accettare e di conseguenza da spiegare, e soffermandosi solo sugli effetti eclatanti.
Le parole di Pippo Fava citate sopra, e proferite a Palazzolo Acreide (Sr) davanti a una scolaresca 16 giorni prima di essere assassinato, dovrebbero essere ascoltate nelle scuole ogni giorno, perché tolgono qualsiasi velo mistico o ipocrita che si può (fortunatamente non sempre) nascondere dietro incontri ben organizzati, in cui non di rado sono presenti migliaia di studenti che si emozionano davvero ascoltando le parole delle vittime di Mafia e delle loro famiglie (oppure guardando video accompagnati da una musica romantica o in stile epic). Fava riassunse perfettamente in modo semplice ed essenziale, in qualche minuto, come e dove può agire la Mafia senza coppola e lupara, bensì in giacca e cravatta e anche per questo lo si dovrebbe ringraziare sempre.
Come già considerato in questo articolo sul film di Florestano Vancini La Violenza: quinto potere, tratta dalla pièce teatrale La Violenza (dello stesso Pippo Fava), non si scopre certamente adesso che la Mafia sfrutta la fame, sia letterale che da lavoro, perché l’ha sempre fatto, facendo leva sui bisogni degli strati meno abbienti della popolazione (che oggi comprende parte di quella che è stata la piccola/media borghesia) e facendo, nella migliore delle ipotesi, (anche tramite attacchi preventivi o il sempre vivo meccanismo della diffamazione) il vuoto attorno a chi si oppone, dal momento che la violenza non è solo fisica, ma diventa un habitus (citando Pierre Bourdieu), che agisce simbolicamente sulla psiche di milioni di persone, le quali, per auto-conservazione, non fanno altro che girarsi dall’altra parte pur di “tirare a campà”. A tal proposito, si dovrebbe sempre ricordare il caso del povero Pasquale Almerico, che, seppur si sia sviluppato in un ambiente di dimensioni limitate, è sintomatico di come possa agire la Mafia).
Ma, se già c’è una predisposizione naturale all’auto-conservazione in tempi normali, cosa accade in tempi di magra?