In questi mesi abbiamo spesso sentito dire che dobbiamo scegliere se morire di Covid o di fame. Per cui ogni misura sanitaria viene soppesata considerando l’impatto sull’economia. Tuttavia, in questa delicata equazione, manca un termine altrettanto fondamentale quanto il diritto al lavoro e alla salute: quello all’istruzione. La pubblica opinione ha sollevato più volte gli scudi contro la scuola a distanza, ma lo ha fatto soprattutto, comprensibilmente, per un motivo essenziale: chi bada ai figli se restano a casa? Sì perché le nostre istituzioni scolastiche svolgono il duplice ruolo di agenzia formativa ed erogatore di servizi di welfare per i genitori.
Con la didattica a distanza si accentuano le differenze sociali
Quindi chiudere le scuole oggi, quando sono stati fatti enormi investimenti per tenerle aperte, rappresenterebbe innanzitutto un problema immediato per le famiglie, soprattutto per quelle più deboli, specie se monogenitoriali (e quindi probabilmente monoreddito). Ma le vere vittime di un ritorno totale alla didattica a distanza sarebbero soprattutto i giovani e il loro futuro. Che guarda caso coincide con il nostro. Perché la scuola online, visto che non tutti gli studenti sono raggiunti dalla banda larga o hanno un device disponibile per collegarsi, è inevitabilmente destinata a lasciare qualcuno per strada. In un paese che, anche in condizioni ‘normali’, già si distingueva (in senso negativo) in termini di dispersione scolastica.
Dispersione scolastica, Italia tra le peggiori d’Europa
Secondo i più recenti dati Eurostat, infatti, il tasso di abbandono scolastico in Italia è il quarto più alto dell’Unione Europea: 14.6% contro una media del 10.6% e un obiettivo comune da raggiungere fissato al 10% entro il 2020. Ci lasciamo dietro solo Spagna, Malta e Romania. Ma altri Paesi con cui siamo soliti consolarci in queste classifiche fanno molto meglio di noi: in Grecia sono al 4%, in Portogallo all’11%. Cosa vogliono dire questi numeri? Rappresentano l’indice ELET (Early leaving from education and training) che, tradotto in soldoni, misura la percentuale di giovani tra i 18 ed i 24 anni che non sono più in formazione e nel contempo non hanno raggiunto un titolo di studio superiore alla terza media (o giù di lì).
Verso l’emergenza educativa, soprattutto al Sud
Ma se questi dati nel 2020 non fossero abbastanza preoccupanti, per allarmarsi basta prendere una lente di ingrandimento e concentrarsi su regioni come Sicilia, Calabria, Campania, Sardegna, Puglia e Valle D’Aosta. Qui la dispersione scolastica è superiore alla media nazionale con percentuali quasi bulgare: in Sicilia, ad esempio, praticamente 1 giovane su 4 rientra nella categoria dei desaparecido al sistema d’istruzione. Se è vero che la situazione è nettamente migliorata dal 2007, quando la percentuale di ELET in Italia era del 20%, è altrettanto vero che da un paio d’anni a questa parte i progressi sono molto lenti e la pandemia potrebbe far scoppiare una nuova emergenza educativa. Ancora nessuno ha infatti condotto un monitoraggio sull’impatto del lockdown sulla dispersione scolastica e già ci stiamo preparando a misure draconiane pur di mantenere in piedi il nostro sistema economico, andando a pescare come spesso accade nelle tasche della scuola.
Per la vera scuola online è ancora troppo presto
Chi vi scrive non è un fiero rappresentante dell’Ancien Régime della carta e della penna, bensì uno di quelli che alla digitalizzazione della scuola ha creduto fin dal principio, fondando il portale Skuola.net quando era tra i banchi di scuola. Per cui lungi da me prendere posizione contro la didattica digitale per partito preso. Ma, conoscendo bene la materia, so anche che per creare un’esperienza di scuola davvero inclusiva e accessibile a tutti sono necessarie delle condizioni di base che oggi non sussistono. La Didattica a Distanza è accettabile se è l’unica opzione possibile, ma non la preferibile se ce ne fossero altre. I dati ci dimostrano che le scuole non sono veicolo di contagio, semmai è tutto ciò che ruota intorno ad esse a palesare problemi. Allora, invece che chiudere e basta, magari cerchiamo di ragionare in maniera creativa: turni di pomeriggio, potenziamento dei servizi di scuolabus, ritorno ai chilometri a piedi come si faceva nel dopoguerra. Qualsiasi cosa pur di difendere la scuola in presenza.
Preoccupa anche la dispersione ‘implicita’
Anche perché pure lei ha già i suoi problemi. Se i numeri della dispersione scolastica tout-court fanno impressione, quelli della dispersione scolastica implicita fanno letteralmente paura. Ammesso e non concesso di arrivare alla Maturità, i test Invalsi introdotti nel 2019 al termine del quinto anno delle superiori ci hanno rivelato che: 1 studente su 3 non raggiungere il livello di sufficienza nella lettura e comprensione di un testo in lingua italiana, 2 su 5 nelle competenze matematiche. Ciò vuol dire che si può essere in possesso di un diploma ma non necessariamente si è in grado di comprendere il significato di un libretto di istruzioni o magari di un grafico matematico. Al Sud, neanche a dirlo, questi numeri quasi raddoppiano; nelle stesse aree in cui sappiamo che banda larga e dotazioni tecnologiche sono meno diffusi. Ecco perché se questa decisione può avere conseguenze gravi sui nostri ragazzi in generale, in alcune regioni potrebbero essere quasi devastanti.