Ricorderemo tutto. Ricorderemo il momento in cui abbiamo letto la notizia della morte di Diego Armando Maradona. Sarà il nuovo costa stavi facendo quando, come ogni fatto epocale, come l’11 settembre o la vittoria del mondiale. Ricorderemo questo momento, il pugno che si è stretto dentro, la prima cosa fatta, il video rivisto, il messaggio mandato a quell’amico che ti chiede se sia vero o no. Perché sui social girano tante informazioni false e tu non sai mai se crederci o meno. E ricorderemo i gol, le finte, le punizioni, le cadute, le urla dopo ogni gol, gli occhi ancora pieni di fame e quei capelli che non hanno mai fatto tendenza come per George Best morto nello stesso giorno del dio del calcio. Ricorderò la telefonata con Daniel che è in Francia, con Mario che stava lavorando e quella fatta a mia madre tifosa del Napoli. Ricorderemo tutto perché Maradona era tutto. Il calcio, la follia, la genialità, la passione ribelle, la rivoluzione, il cuore, la testa, le gambe, il popolo, l’allegria, l’incubo, la fine, l’inizio, il sogno, la bellezza, la vita, la morte, l’amore. Maradona non è mai stato solo un calciatore, per questo anche chi non conosce il calcio sa chi è stato Maradona. E anche chi come me non ha mai tifato per lui oggi piange, perché sa che non è mai solo calcio. Mai.
Per noi che guardiamo la vita dal Sud la cebollita nata a Villa Fiorito è un esempio di dedizione e coraggio, un monito che invitava a crederci e a non mollare mai i propri sogni e quelle sane ambizioni di riscatto che ci agitano dentro e non moriranno mai. Forse per questo Maradona è immortale, perché ha parlato ai cuori e a alle anime dei tanti che vivono emarginati, lontani dal centro, nelle periferie e nelle provincie del vostro scontento. Quella dalle quali ad ogni sconfitta la sinistra deve ripartire. Per questo sentiamo nostro e vero quello che il fumettista del Clarin, Roberto Fontanarrosa, ha detto di lui: “La verità è che non mi interessa cosa ha fatto Diego della sua vita, mi interessa cosa ha fatto della mia”. Fare oggi processi alle debolezze e agli errori commessi dall’uomo Maradona non serve a niente e nessuno, nemmeno a chi pratica il giudizio come stile di vita e sentendosi martello vede tutti gli altri come chiodi. Non ci interessa perché dentro di noi vive e vivrà quel numero 10 che ha fatto il calcio, che ha fatto sognare, che ha dato a molti ragazzi di strada un’alternativa ed una passione buona, pulita. “Io ho sbagliato e ho pagato. Il pallone non si macchia. Il pallone non si macchia”.Andate a raccontarlo ai bambini che eravamo un tempo che quell’uomo venuto da lontano è caduto nel peccato. Andate a raccontarlo in quei campetti inventati nelle nostre strade deserte sui quali sono cresciuti sogni e illusioni. Andate a raccontarlo a chi aspettava le partite del Napoli per battere il più forte: perché tutti aspettavano Maradona, non solo i suoi tifosi.
Le parole più belle le ha usate il presidente Francese Macron, con una miscela perfetta di empatia e rigore istituzionale. Con la stessa grazia, la stessa superba insolenza, si avvicina alla finale che segna con il gesto più bello del calcio: il passaggio decisivo, il gol del numero 10. Quando alza il trofeo si crea un mito: l’enfant terrible è diventato il miglior giocatore del mondo. E il Mondiale torna in Argentina: questa volta tocca al popolo, non ai generali.
Il dio del calcio non avrà eredi perché la sua eredità è dentro ognuno di noi e li vivrà per sempre. ¡Quiero llorar! ¡Dios Santo, viva el fútbol!