InversamenteTutte le contraddizioni del liberalismo identitario

Con ‘L’identità non è di sinistra’ Mark Lilla mette in luce il paradosso della libertà che sta minando la politica democratica USA e che influisce sulle democrazie europee

Eliminare la distanza tra ciò che si prova e ciò che si fa.
Questa l’attuale prassi del liberalismo identitario statunitense che sta dilagando anche fra le democrazie europee. Si tratta della deriva della sinistra democratica USA verso una politica sempre più movimentista che considera prioritarie le identity politics.

La tesi di Mark Lilla

A rilevarlo è un democratico americano, un uomo di sinistra: Mark Lilla, politologo e professore di studi umanistici alla Columbia University di New York City, con il suo saggio L’identità non è di sinistra (Marsilio Editori).

 

 

Negli ultimi decenni l’identità è diventata il campo minato dello scontro politico occidentale. I diritti delle donne, della comunità gay e di qualunque altra minoranza sono in cima ai programmi di tutti i partiti che si dicono di sinistra. In questo contesto la tesi di Mark Lilla è che, sostenendo battaglie politiche basate principalmente sull’identità, senza la costruzione di una visione politica più generale, la sinistra liberale ha in realtà abdicato al suo ruolo, tanto da abbracciare, paradossalmente, l’individualismo imposto da Reagan e dalla Thatcher. I liberal hanno quindi contribuito ad alimentare un sistema di valori antipolitico, rinunciando al consenso degli elettori per concentrare tutte le loro forze in un attivismo frammentario.

“In un’era in cui dovremmo educare i giovani a pensarsi come cittadini con dei doveri gli uni verso gli altri, li spingiamo invece a esplorare la tana del proprio io”. Così, in mancanza di una “visione politica”, abbiamo creato una “società iperindividualista e borghese, dove le parole chiave sono: scelta personale, diritti individuali, autodefinizione e dove difficilmente emergono le due categorie fondamentali per la salute della società: cittadinanza e bene comune”.

Il paradosso sta proprio nell’anarchia delle sensibilità che porta all’autoreferenzialità; tutto l’opposto dell’ideale democratico, liberale e di sinistra.

Se ne rintraccia il germe contraddittorio già nel collettivo di femministe lesbiche, The Combahee River Collective Statemente: “L’attenzione alle nostre oppressioni è incarnata dal concetto di politiche identitarie. Crediamo che le politiche più profonde e potenzialmente più radicali vengano direttamente dalla nostra identità e non dal mettere fine all’oppressione altrui”. Anno 1977.

L’omuncolo interiore

L’identità è andata strutturandosi come un “omuncolo interiore” composto da tanti pezzi non sempre complementari tra loro, ognuno in cerca del proprio posto al sole. Perché un sistema politico funzioni in modo equilibrato come un organismo senza scompensi (ossia derive ideologiche di destra e di sinistra), fa riflettere quanto dichiarato nel 1985 dall’allora senatore per il Massachusetts, Edward Moore Kennedy:

“Dobbiamo comprendere che essere un partito che ha a cuore i lavoratori è diverso che essere un partito laburista. Essere un partito che ha a cuore le donne è diverso che essere il partito delle donne. Il nostro può essere e deve essere un partito che ha a cuore le minoranze, ma senza diventare il partito delle minoranze. Prima di ogni cosa siamo cittadini”.

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