di Silvia Dogliani | FocusMéditerranée
Roma ha dedicato queste ultime settimane interamente al Mediterraneo.
Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha aperto la conferenza Med 2020 Mediterranean Dialogues, esprimendo la sua preoccupazione per la fragilità che l’area geopolitica del Mediterraneo sta mostrando. Secondo Di Maio “Il contributo italiano è indispensabile per mettere ordine nelle molteplici contese” presenti nella regione.
L’Ammiraglio Fabio Agostini, che guida l’operazione navale EUNAVFOR MED IRINI con dispiegamento di assetti navali ed aerei europei nel Mediterraneo, ha lanciato alla fine di novembre la conferenza SHADE MED (Shared awareness and deconfliction in the Mediterranean), due giorni di incontri e riflessioni sulle sfide per la cooperazione nel Mare Nostrum dopo la pandemia globale. Ne esce un quadro chiaro, un punto di partenza per coordinare e convogliare tutte le forze europee verso un unico obiettivo: la stabilità e la sicurezza nel Mediterraneo.
Diventa dunque un’esigenza primaria quella di costruire al più presto un meccanismo capace di coordinare risorse militari e civili nelle operazioni marittime ed aeree nel Mediterraneo per contenere il fenomeno migratorio ed eliminare, per quanto possibile, i conflitti presenti e futuri.
Proprio di recente, la Marina militare tunisina e le forze navali statunitensi hanno tenuto un’esercitazione militare congiunta al largo della costa di Biserta. E questo è solo uno dei tanti esempi di cooperazione militare per rafforzare le capacità di contrasto alle attività illecite in mare.
Il coordinamento nel campo del controllo marittimo, ricerca e soccorso può produrre risultati positivi, ma anche rischiose dispute diplomatiche. È avvenuto di recente durante la perquisizione da parte di una fregata tedesca della missione Ue Irini del cargo turco Roseline-A diretto al porto libico di Misurata. Per il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, l’intervento è stato “un attacco” contro la Turchia; per Bruxelles, invece, è stata un’azione nel pieno del rispetto del protocollo di monitoraggio dell’embargo di armi alla Libia.
La conferenza SHADE MED ha riunito esperti di sicurezza e migrazione per disegnare un quadro geopolitico, con tutte le sue complesse caratteristiche e analizzare ruoli e attori coinvolti in una strategia europea capace di promuovere la stabilità nel Mediterraneo. Abbiamo raccolto gli interventi più significativi in vari temi.
Mediterraneo: un quadro geopolitico
Il Mediterraneo è l’interconnessione di tre continenti: Africa, Asia ed Europa. È un’arena di incontro tra popoli, culture e religioni e da sempre è luogo di scambi marittimi. È anche una regione di guerre e conflitti (Libia, Siria, Rivoluzioni arabe, questione palestinese), crisi e tensioni (instabilità in Libano, pandemia, flussi migratori). Qui, più che in altri mari del mondo, convergono forti interessi economici (gas e petrolio ma anche energie rinnovabili, materie prime, turismo, pesca, trasporti). La stabilità di quest’area è essenziale per la sicurezza globale.
Europa
Per Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e
Politica di sicurezza, l’Europa ha un ruolo strategico nel riportare la pace e la stabilità nella regione e potrà raggiungere questo importante obiettivo solo lavorando insieme ad altri attori.
Dello stesso avviso è anche il Generale Claudio Graziano, Presidente del Comitato militare dell’Unione europea. Secondo il Generale, nessuna crisi può essere risolta senza l’impiego di mezzi militari in un’efficace combinazione di soft e hard power. Oggi, in un momento storico così delicato, gli Stati membri dell’Europa hanno la grande opportunità di consolidare la rete di cooperazione per garantire la stabilità. L’Unione europea deve lavorare fianco a fianco con la Nato, usando tutti gli strumenti politici, diplomatici, economici, militari che ha a disposizione. Deve agire “mettendo in pratica il linguaggio del potere e non solo parlando di esso” (“practicing the launguage of power and not just speaking it”). Graziano ricorda quanto il 2020 sia iniziato non molto bene: conflitti, pandemia – che ha generato disinformazione – crisi ambientale e sanitaria. E’ importante tenere a mente che l’impatto della pandemia in molti Paesi già devastati dai conflitti interni è stato ancora più forte e il terrorismo ne ha tratto vantaggio.
Russia e Turchia (e Cina)
La presenza della Russia e della Turchia nella regione sta diventando sempre più forte e potrebbe cambiare ogni prospettiva geopolitica. Ne è convinto il vice-Ammiraglio Pascal Ausseur, direttore del Mediterranean Foundation for Strategic Studies.
Di fronte ad una Russia che consolida la sua presenza nella regione ed ad una Turchia che ne incrementa il suo potere militare, Ausseur afferma che l’approccio di dialogo degli anni Novanta – avviato con il Processo di Barcellona (dialogo politico, cooperazione economica e libero scambio, dialogo umanitario, sociale e culturale) è ormai finito e riassume chiaramente lo scenario attuale: “Arretramento degli Stati Uniti, debolezza dell’Europa, crescita di Paesi concorrenti, risentimenti verso l’Occidente”.
La Cina è diventata, infatti, la prima potenza antagonista degli Stati Uniti con una crescente presenza economica e militare a livello mondiale. Israele, Egitto e Paesi del Golfo giocano ormai anch’essi un ruolo importante nel Mediterraneo.
Le tensioni generate da precisi momenti storici (decolonizzazione in Algeria, conflitto arabo-israeliano e la guerra dei sei giorni …) hanno avuto un impatto molto forte nella popolazione tanto da far crescere vivi risentimenti verso l’Occidente, a volte ignorati o sottovalutati dall’Europa.
“Siamo in un periodo di forte destabilizzazione”, afferma Ausseur e “Russia e Turchia sono oggi i due attori principali” che vogliono riappropriarsi della loro storica posizione imperiale.
La Russia – secondo il vice-ammiraglio – usa una strategia che si caratterizza da un approccio classico, forte capacità militare, diplomazia, difesa e protezione del Mar Nero. La Turchia, invece, ha un ruolo attivo in vari fronti (Libia, Cipro, Nagorno Karabakh), non intende cambiare la sua politica, mantiene un’alleanza con la Russia e con i Paesi arabi e, con gli accordi Ue-Turchia sui migranti siglati nel 2016 con la Cancelliera tedesca Angela Merkel, tiene l’Europa in pugno.
“Abbiamo bisogno della Turchia per controllare migranti e terroristi che transitano nel Paese e possiamo farlo solo con un mix di impegno e sanzioni economiche”, spiega Ausseur. Poi aggiunge: “L’Europa deve continuare a cooperare con la Nato anche se è difficile, vista l’ostilità della Turchia (che è un importante membro della Nato N.d.R). E l’unica possibilità è coinvolgere la Marina russa”.
Per Pascal Ausseur “Non ci sono dunque singole logiche e singole soluzioni. L’Europa ha bisogno di trovare un’entità geopolitica, deve essere capace di identificare i suoi interessi e difenderli. E tutto ciò adesso non è ancora chiaro!”
Libia
La crisi libica fa parte delle questioni irrisolte della politica dell’Unione europea nel Mediterraneo. Oggi, il caos e l’instabilità nel Paese sono un problema politico, spiega il Prof. Paolo Magri, Vice-Presidente Esecutivo dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI). In Libia non ci sono strutture sociali, istituzioni ufficiali e non si sa chi sia l’autorità e chi rappresenti chi. Magri pone l’accento sulla dinamica del conflitto che ha trasformato il tessuto sociale: “La guerra non è solo regionale, ma globale, con attori esterni attivi che hanno interesse affinché essa continui”.
Secondo il Professore, oggi più che mai, in Libia c’è bisogno di cambiare le modalità di cooperazione. Bisogna rinforzare il controllo dei confini e allo stesso tempo proteggere i migranti. Considerando il periodo 2014-2019, il Vice-Presidente dell’Ispi sottolinea che il 90% dei migranti arrivati nelle coste italiane proveniva dalla Libia.
L’Europa dovrebbe avere una visione globale più ampia della migrazione e dovrebbe anche essere l’attore principale per migliorare la situazione nel Paese, sia con interventi economici, sia sociali (ponendo l’attenzione sui diritti umani), sia a livello di sicurezza. “Non possiamo dare priorità ad una strategia a scapito di un’altra”, afferma Magri, convinto che la strategia migliore sia quella di trattare tutte le problematiche contemporaneamente o gli interventi non saranno efficaci. E parlando dell’Italia conclude: “Siamo dei buoni ‘vicini’ e se succede qualcosa di negativo alla Libia, sarà un male anche per noi!”.
Mediterraneo: mare di transito, Blue economy e sicurezza
“Il Mediterraneo deve essere considerato come un corso d’acqua internazionale, un mare di transito che si basa sul principio della libertà di navigazione (FON – freedom of navigation)”, spiega l’Ammiraglio Fabio Caffio, esperto di diritto internazionale marittimo.
Nonostante il Mare nostrum copra solo l’1% della superficie oceanica mondiale, esso è un vero e proprio hub del commercio internazionale. Se si pensa che il 90% delle merci nel mondo viene trasportato dalle navi e che il Mediterraneo rappresenta circa il 15% del traffico marittimo mondiale, ci rendiamo conto dell’importanza strategica ed economica di questo “grande lago”.
I numeri parlano chiaro. Prendiamo solo l’esempio della ECSA (European Community Shipowner’s Association), che rappresenta 20 associazioni nazionali di armatori dell’Unione europea, Regno Unito e Norvegia e promuove e protegge gli interessi di spedizioni europee. “ECSA copre quasi il 40% della flotta marittima mondiale – spiega Martin Dorsman, Segretario generale – genera due milioni di posti di lavoro e ha un impatto totale sull’economia europea pari a 149 miliardi di euro”.
Lo sviluppo della “Blue economy” nel Mediterraneo – la libera circolazione di persone, merci (compresi risorse), servizi (anche informazione) e capitali – è una delle possibili strade da percorrere per migliorare il sostentamento delle comunità mediterranee, da mesi deteriorate anche a causa della pandemia globale che ha prodotto nella regione un’ondata di conflitti politici, sociali ed economici.
Ma le minacce presenti nel Mediterraneo sono all’ordine del giorno e non sempre facili da contrastare: traffico di armi, di petrolio e di esseri umani, flusso e soccorso di migranti, pirateria, terrorismo.
Tra gli attori attivi nel Mediterraneo
Guardia costiera, Frontex
La collaborazione tra le guardie costiere italiana, tunisina e libica, Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, la missione Irini e gli altri attori attivi nel Mediterraneo è essenziale anche per monitorare e contenere i flussi migratori.
Frontex nasce nel 2004 per assistere gli Stati membri dell’UE e i Paesi Schengen nella protezione delle frontiere esterne dello spazio di libera circolazione dell’Unione europea. Nel 2020 ha registrato 32.257 migranti nella rotta centrale. Di questi, 3.250 sono stati soccorsi.
Il flusso di migranti che si è registrato nel Mediterraneo nel 2020 è pari a quasi 80mila unità (fonte: Frontex/Jora, Unhcr), con oltre 27mila arrivi in Italia (di cui circa 20mila via mare), principalmente dalla Tunisia (12.396) e dalla Libia (9.837). Tunisia, Bangladesh, Pakistan, Costa d’Avorio e Algeria sono i principali Paesi d’origine (dati forniti dal ministero degli Interni).
Nel evidenziare questi dati, il Capitano Gianluca D’Agostino, IT-MRCC Rome – OPS Centre Chief, spiega che nel 2020 vengono principalmente utilizzate dai trafficanti imbarcazioni di legno (752) e gommoni (85) e, rispetto agli anni precedenti, di dimensioni sempre più ridotte. Soprattutto nella rotta Libia-Italia si nota un netto peggioramento della qualità dei gommoni impiegati per il trasporto dei migranti.
La missione EURNAVFORMED IRINI
Il libero flusso del commercio marittimo nel Mar Mediterraneo richiede un ambiente sicuro. Proteggere la legalità del dominio marittimo è il compito principale della missione EURNAVFORMED IRINI, per contrastare il traffico di armi, di migranti, nonché l’esportazione illegale di petrolio.
L’operazione militare aeronavale è stata varata dall’Unione europea il 31 marzo 2020 per assicurare il rispetto delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU che dal 2011 vietano il traffico di armi da e per la Libia, nell’interesse sia della comunità internazionale sia del popolo libico.
NATO
L’Ammiraglio della Marina USA Robert Peter Burke, comandante di JFC Naples (comando interforze della NATO) pone l’accento sulla “condivisione”, sia della comprensione dei problemi, sia dei risultati per raggiungere obiettivi comuni. Burke ricorda le missioni nei Balcani e, in particolare quelle in Kosovo, che proprio grazie alla “condivisione” hanno portato stabilità nella regione. “Dobbiamo fare di più in Africa”, afferma l’Ammiraglio. “Se portiamo la stabilità, tutti noi ne trarremo vantaggio”. Nel concreto per Burke è necessario combattere il terrorismo, portare in campo un team di esperti (diplomatici, accademici, militari) e farli lavorare insieme con gli esperti della Nato, supportando le missioni dell’Unione europea e dell’Onu. La condivisione è dunque la chiave per raggiungere la pace e la stabilità.
Il ruolo delle donne
“Le donne hanno prospettive diverse, voci forti e decise e molto da dire”, dice Irene Fellin, Presidente di Women in International Security Italy (WISI).
Fellin spiega che nei processi di pace e nelle negoziazioni la donna può avere un ruolo importante nel prevenire conflitti e tensioni. “Vorremmo provare ad aumentarne il numero nella mediazione, anche a livello politico ed economico”, spiega Fellin, ricordando che i conflitti internazionali colpiscono le donne e gli uomini in modi molto diversi ed è per questo che anche le donne devono avere un ruolo attivo nel processo di stabilizzazione e di pace.
La Presidente di WISI afferma che oggi sono ancora poche quelle coinvolte attivamente: “Circa il 10% nelle negoziazioni in Afghanistan e in Tunisia e nessuna in Libia e in Yemen”. Poi aggiunge: “Le donne libiche sono pronte a contribuire alla costruzione delle istituzioni nel loro Paese”.
Perché coinvolgere le donne?
Fellin non esita a rispondere: “Per produrre un quadro completo e promuovere nuove strategie e modalità, perché il processo di pace deve essere inclusivo e perché la presenza della donna in certe situazioni e circostanze viene percepita positivamente”.
Il ruolo dei media
“La disinformazione della guerra civile in Libia è un problema internazionale”, spiega Rita del Prete, responsabile del servizio italiano di Euronews.
Infodemic, l’eccesso di informazioni e la diffusione di notizie “esplosive”, è un grande pericolo per la democrazia. In Libia, Facebook è il social network maggiormente utilizzato, dove vengono postate foto scioccanti di battaglie che affermano la supremazia di un gruppo su un altro.
Come difendere allora la democrazia nel Mediterraneo? Per la giornalista italiana è importante che ci siano media indipendenti e che ci sia anche una forte collaborazione con chi opera attivamente nella regione (lavorare embedded con le forze militari, per esempio). Inoltre, per combattere le fake news, “è necessario non sottovalutare l’importante ruolo che i media hanno per la democrazia”.