InversamenteAntonella è morta anche perché non c’è educazione digitale

Il pericolo non sta soltanto nel social o nello smartphone in sé, ma in chi quello smartphone lo mette in mano ai bambini. La tecnologia è per tutti se viene insegnata

Ci voleva una morte per prendere in mano la questione della pericolosa e incontrollata esposizione ai social da parte dei minori. Quella della bimba di 10 anni per una sfida su TikTok.

Come si legge su La Repubblica: «Antonella era una bambina molto social, soprattutto da quando mamma e papà, nel giorno del suo decimo compleanno, le avevano regalato un cellulare tutto suo. Aveva tre account su Facebook e una decina su Instagram… Era anche una bambina molto ubbidiente. Tanto che non ho mai avuto l’esigenza di controllarla».

Dieci anni fa lo smartphone era il regalo in occasione dell’ingresso alle scuole superiori, poi è diventato il regalo della cresima, mentre oggi spesso è il cadeau per la Prima Comunione: quindi stiamo parlando di bambini di otto/nove anni.

Antonella però è morta

Non si può più far finta di niente. E allora tutti a consultare gli esperti che per l’ennesima volta – da quanto tempo ce lo ripetono? – spiegano i rischi di una connessione indiscriminata da parte dei minori. Quando la Società Italia di Pediatria ha messo da tempo nero su bianco indicazioni molto chiare e semplici sull’utilizzo dei device che implicano, ahimè, dei “no”:

  1. No a smartphone e tablet prima dei due anni, durante i pasti e prima di andare a dormire;
  2. Limitare l’uso a massimo 1 ora al giorno nei bambini di età compresa tra i 2 e i 5 anni e al massimo 2 ore al giorno per quelli di età compresa tra i 5 e gli 8 anni;
  3. No ai programmi con i contenuti violenti;
  4. Sconsigliato l’uso di telefonini e tablet per calmare o distrarre i bambini;
  5. No al cellulare “pacificatore”;
  6. Concordare con il bambino delle regole di utilizzo (es. divieto di utilizzo durante il tempo dedicato ai compiti) e spiegare perché è importante rispettarle
  7. Spiegare con un linguaggio semplice ma chiaro che il web non è un luogo sicuro per i bambini;
  8. Sì all’utilizzo di applicazioni di qualità da usare insieme ai genitori.

Ci sono inoltre esperti che ragguagliano anche in merito agli adolescenti, come lo psicoterapeuta Alberto Pellai : «La capacità di agire facendosi guidare non solo dal cervello emotivo, ma anche da quello cognitivo, che porta con sé la capacità di prevedere i rischi, come spiegano bene le neuroscienze, non appartiene all’adolescenza. Per cui, all’età in cui oggi diamo in mano lo smartphone ai nostri figli non è ancora sviluppata»; i lobi frontali «maturano a 20 anni, quindi prima di quell’età non stupiamoci se una delle risposte tipiche dei nostri figli è “non ci avevo pensato” di fronte alle conseguenze a volte disastrose del loro agire, quella della pre-adolescenza è l’età della maggiore vulnerabilità».

No, Pellai non aspetta che i suoi (quattro) figli compiano 20 anni per regalare loro lo smartphone, tuttavia a non cede prima dei 14.

E poi Nunzia Ciardi, Direttore della Polizia Postale, a ricordare l’ovvio: «Almeno fino ai 12 anni non lasciate i figli soli quando navigano in rete».

Ma come si fa? Il controllo totale è impossibile, proprio per come sono pensati sia i device sia i social, ossia strumento e contenuto.

Per lo meno, verrebbe da dire, rispettiamo i limiti d’età per l’iscrizione ai social. Per TikTok, per esempio, è di 13 anni. 

E  allora via… tutti a chiedere a TikTok, Facebook e Instagram da parte del Garante italiano per la privacy la verifica dell’età degli utenti. Il Regolamento europeo per la privacy (Gdpr) dice: «Il trattamento di dati personali del minore è lecito ove il minore abbia almeno 14 anni» (l’età viene scelta dagli Stati membri), mentre con l’articolo 66, a cui si è appellato il nostro Garante: «In circostanze eccezionali, qualora ritenga che urga intervenire per proteggere i diritti e le libertà degli interessati, un’autorità di controllo interessata può adottare immediatamente misure provvisorie intese a produrre effetti giuridici nel proprio territorio, con un periodo di validità determinato che non supera i tre mesi».

Cosa si deduce da tutto quello bailamme?

Il pericolo non sta anzitutto e soltanto nel social o nello smartphone in sé. Sorpresi? No, non è un controsenso. Si tratta sempre di buon senso, perché il nodo della questione sta «in chi quello smartphone lo ha messo in mano alla bambina e dunque in una mancanza di educazione», come scrive il collega Fabio Ranfi nel suo articolo di cui consiglio caldamente la lettura.

«Fareste mai guidare un’automobile a vostra figlia senza patente? Dareste mai una pistola in mano al vostro bimbo? Ecco fatevi la stessa domanda la prossima volta che darete uno smartphone o l’accesso ai social a qualsivoglia bambina o bambino».

La parola è sempre la stessa: educazione. Con un attributo specifico: digitale.

Il mito dalle “tecnologia per tutti” si è rivelato un’utopia, perché «deve essere insegnata [infatti] non esiste un mondo virtuale ed uno reale. Il mondo è uno solo con spazi digitali, spazi fisici e spazi ibridi, ma sempre interconnessi tra loro e mai distinti».

Dopo oltre 15 anni di social networking possiamo riconoscerlo in modo consapevole. Ci è arrivato anche Netflix con The Social Dilemma, dunque il tema non potrebbe essere più pop di così. Davvero, ormai, alla portata di tutti.

Che cosa ancora non è chiaro?

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