Blog Notes di MartaGene Gnocchi al Parenti: era proprio necessario che ci pensasse lui (al posto di Dio)?

Lo spettacolo di Gene Gnocchi in scena al Teatro Franco Parenti "Se non ci pensa Dio ci penso io" non è particolarmente efficace e comico: troppi temi, seppur importanti e attuali, ma affrontati con eccessiva rapidità e superficialità

Gli spettacoli vanno visti per poterne avere un’idea esatta, e soprattutto in alcuni casi (non sempre) è meglio non uscire dalla sala prima della fine. È il caso di “Se non ci pensa Dio ci penso io”, a Milano al Teatro Franco Parenti ancora fino al 30 gennaio, scritto e interpretato da Gene Gnocchi con Diego Cassani per la regia di Marco Caronna. Classe 1955 il comico cabarettista, che ha avuto la sua fortuna soprattutto negli anni ’90 in coppia con Teo Teocoli, ora appare un po’ stanco e soprattutto superato nel suo ultimo lavoro, una specie di sfogo nonché confessione su tutti i malanni degli ultimi anni. Dopo una lunga (e superflua) divagazione a sipario chiuso sugli improbabili sponsor che avrebbero finanziato lo spettacolo, la scena si apre su un vecchio ufficio: una scrivania importante di legno con vari faldoni da riordinare e accanto un tavolino su cui è appoggiata una vecchia radio. Gnocchi dice di voler parlare con il Creatore, un colloquio alla “Hai un momento Dio”, mitica canzone di Ligabue (cantante che nello spettacolo viene citato con altri in seguito). Dialogo che avverrebbe attraverso un canale della radio, che però è rotta. Ecco che interviene Diego Cassani, qui anche attore, nella vita musicista nonché spesso in scena con Gnocchi: è il tecnico chiamato per ripararla. Un dialogo-monologo di Gnocchi quindi, che con la scusa drammaturgica dell’intenzione di parlare con Dio snocciola mano a mano una serie di questioni attuali: il covid, anzitutto, ma anche la criptovaluta, la droga dello stupro, la mania del monopattino, i talent di cucina, i voli low cost, passando per il gusto Puffo (di gelato), il problema dell’adozione dei figli e i giocolieri ai semafori. Argomenti appena sfiorati, semplicemente come ammucchiati in un cesto da portare via. E affrontati senza voler dare veramente fastidio ad alcuno, né però riuscire a far ridere più di tanto. Una via di mezzo, un non entrare nelle questioni per non prendersi alcuna responsabilità, solo tratteggiarle e fornire dei leggeri spunti. È questo il ruolo del cabaret, soprattutto nel duro periodo che stiamo vivendo? È la domanda che ci si continua a porre, sketch dopo sketch. Fino alla fine, quando Gnocchi torna in scena quasi col cappello in mano: chiede al pubblico di prendere lo spettacolo per quello che è, un suo sfogo personale. Quasi una sua personale necessità di esprimersi. Dura solo 1 ora e 10 minuti, glielo si può perdonare grazie a questa captatio benevolentiae finale, ma davvero lo spettacolo dice poco e stimola ancor meno.

 

Info e biglietteria: www.teatrofrancoparenti.it, via Pier Lombardo 14, tel. 02-59995206

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter