Maroni e quelli che Tremonti non lo vogliono

Maroni e quelli che Tremonti non lo vogliono

C’è un motivo se Silvio Berlusconi non nomina la parola elezioni. Se prende carta e penna per mettere nero su bianco, sul Corriere, la proposta di «un patto per la crescita» con le opposizioni. Obiettivo: resistere, fermare l’operazione Tremonti. Mai come questa volta dentro Palazzo Chigi si aggirano i fantasmi di un governo senza il Cavaliere: «Tremonti – dicono i suoi – sta sulla riva del fiume e aspetta solo il cadavere giudiziario del premier». Il timing dell’ora X dipende solo dalla procura di Milano, da una condanna insostenibile per un presidente del Consiglio. Solo a quel punto si capirà se trovare una soluzione d’emergenza in Parlamento o andare al voto. Ma le manovre del “dopo” sono già iniziate. Le ultime settimane hanno già stravolto l’equilibrio su cui si è retto l’edificio berlusconiano negli ultimi mesi. A partire dall’indebolimento del “sub partito” di Gianni Letta, unico argine allo strapotere del Tesoro. In molti nel Palazzo vedono il potente sottosegretario azzoppato dall’inchiesta su Bertolaso, seconda fase dell’affaire cricca che già aveva coinvolto quel côté di potere romano e papalino di cui Letta è sempre stato un punto di riferimento.

Ecco il fantasma di Tremonti a Palazzo Chigi, dell’uomo che ha tenuto in scacco il governo sui dossier che contano, tirando i cordoni della borsa: «Ha affamato noi e fatto ingrassare la Lega, ora si prepara all’incasso», si sfogano a palazzo Grazioli. Già, con la sua politica rigorista, Tremonti ha favorito un travaso silenzioso di voti del Pdl verso il Carroccio. Alla Lega ha garantito il ruolo di mediazione degli interessi al Nord: attraverso le operazioni sugli istituti di credito cooperativo, per dirne una, sta fornendo al partito di Bossi le basi per ridisegnare l’establishment politico del Nord. 

Ma la partita è più complessa, proprio dentro il Carroccio. Con il partito romano indebolito, la sfida della successione è al Nord. Il federalismo c’entra, ma fino a un certo punto. A via Bellerio il quesito rimbalza da settimane: «Quanto può durare così?». Anche un sofferto via libera, giovedì, a un altro tassello della riforma federale – il decreto sul fisco dei comuni – non toglierebbe i dubbi sulla tenuta di una legislatura sempre più appesa agli scandali. E non è un caso che il ministro dell’Interno Maroni si è candidato, silenziosamente, come alternativa a Tremonti. Due interventi sul Corriere della Sera nell’arco di una settimana per dire «o riforme o voto», per invocare una tregua tra i poli, e far sapere a tutti che ha condiviso, via telefono, le preoccupazioni di Giorgio Napolitano. Obiettivo: stoppare la manovra di palazzo che porterebbe Tremonti a palazzo Chigi senza passare per le urne, e candidarsi come premier al momento in cui la legislatura arriva al capolinea.

Proprio dentro la Lega si sta consumando una guerra silenziosa, ma dura. Il Carroccio è diviso in tre. Il cerchio magico (Bossi, Reguzzoni, Bricolo, Rosi Mauro), i maroniani (Giorgetti, approdato alla corrente proprio per arginare lo strapotere di Tremonti, Tosi, Cota), e Calderoli (quinta colonna di Tremonti nel Carroccio). E Maroni sta portando truppe alla sua corrente, in nome dell’antitremontismo. Guarda caso, non ha perso occasione per criticare il patto di stabilità, per far venir fuori il malumore dei sindaci contro il Tesoro grazie ad Attilio Fontana, primo cittadino di Varese e suo fedelissimo in Anci. Nella cerchia ristretta del premier fanno un’analisi spietata: «Bossi terrà fino al momento in cui non accade l’irreparabile. Poi, se condannano il premier, si gioca la carta Tremonti. O come candidato di un governo di transizione o come candidato per andare al voto. E Maroni di fronte ai voleri di Umberto farà un passo indietro». L’avvertimento sarebbe stato già mandato da Marco Reguzzoni in un’intervista a Libero: «Se si va alle urne non è detto che sia Berlusconi il candidato premier».
Maroni o Tremonti. Bossi – assicurano i bene informati – deciderà all’ultimo momento. Quando, di fronte all’emergenza, all’irreparabile, non potrà più apparire agli occhi del premier come il traditore del patto sottoscritto nel lontano 2000. A quel punto, sceglierà il suo candidato, via palazzo o via urne. 

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter