I nostri affari in Libia adesso fanno paura

I nostri affari in Libia adesso fanno paura

Il vento della rivoluzione libica sferza violentemente le blue chip di Piazza Affari che hanno interessi nell’area. Profondo rosso, intorno alle 16.45, per Impregilo (-6,09%), Eni (-5,06%), Ansaldo Sts (-4,72%) e Astaldi (-5,08%), che trascinano al ribasso il Ftse Mib (-3,35%). Un po’ meglio Finmeccanica (-2,53%).

La galassia Finmeccanica. In queste ore, le agenzie di stampa riferiscono che Finmeccanica ha rimpatriato una decina di dipendenti nello stabilimento Liatec, joint venture tra l’azienda guidata da Guarguaglini, Agusta Westland e la Libyan Company of Aviation, per la produzione di elicotteri. Sebbene piazza Monte Grappa non abbia ancora diramato un comunicato ufficiale con l’esposizione del gruppo verso Tripoli, in base alle commesse delle controllate si può ricostruire un giro d’affari globale che supera il miliardo di euro. Uno dei titoli più colpiti oggi è infatti Ansaldo Sts, che lo scorso agosto, in consorzio con Selex (anch’essa del gruppo Finmeccanica) e con le ferrovie russe Jsc Rzd, ha siglato un contratto per la realizzazione di sistemi di segnalamento e automazione ferroviaria sulla tratta da Sirth a Bengasi, per un valore di 247 milioni di euro. Un anno prima, Ansaldo Sts si era aggiudicata un ordine pari a 541 milioni di euro, per costruire sistemi di telecomunicazioni sulla linea ferroviaria costiera da Ras Ajdir a Sirt e da Al-Hisha a Sabha, lunga 1500 km. Numeri consistenti, ma la situazione generale non preoccupa. Secondo quanto emerge da un report interno di una primaria banca italiana, gli ordini complessivi assegnati ad Ansaldo tra il 2009 e il 2010 sono pari a 743 milioni di euro, mentre il Paese conta per il 17% del portafoglio ordini per il 2010. In stallo anche il progetto relativo alla metropolitana di Tripoli, che, in base alle aspettative di mercato, è un naturale territorio di caccia per Ansaldo. Seduta pesante anche per Astaldi, impresa di costruzioni romana – niente a che vedere con Finmeccanica – che oggi risente fortemente dalle vendite nel comparto infrastrutturale, ma fa sapere all’agenzia Reuters di non avere alcuna esposizione nei confronti di Tripoli.

Impregilo. Per il general contractor, gli accordi di cooperazione italo-libica firmati nel 2008 hanno portato buoni frutti: già nell’estate di tre anni fa Impregilo ha siglato un contratto da 430 milioni di euro per la realizzazione – tramite una joint venture con la Libyan Development Investment – di tre città universitarie nella regione della Sirte, tra Tripoli e Bengasi. Accordo a cui è seguito, esattamente un anno dopo, un deal da 360 milioni di euro per il rifacimento delle reti elettriche, fognarie, idriche e telefoniche in alcune aree di Tripoli e Misurata. Non solo: poco meno di un anno fa, lo scorso marzo, venne messo nero su bianco un nuovo accordo da 285 milioni di euro per la costruzione di una conference hall nella capitale della Jamariyah, un progetto firmato dall’archistar iraniana Zaha Hadid. Oggi, il titolo paga la sua presenza ventennale nello Stato nordafricano: targati Impregilo sono gli aeroporti di Kufra, Benima, Misurata, El Wotia e Sirte, i porti di Ras Lanuf, Benghazi e Homs, i centri ministeriali e gli edifici del Parlamento libico a Sirte, e i complessi industriali nelle città di Ras Lanuf e Misurata. Tuttavia, la gara più importante riguarda i 1700 km dell’autostrada Rass Ajdir-Imsaad, parte di un’arteria che collegherà Tunisia ed Egitto tagliando tutto il territorio libico. Un appalto da 3 miliardi di dollari, a cui Impregilo ha partecipato come capofila di un consorzio tutto italiano di cui fanno parte anche Condotte, Salini-Todini, Pizzarotti e Cmc. Lo scorso dicembre sono state presentate le offerte – in gara ci sono anche le altre big italiane del settore, che fanno capo ad un raggruppamento comprendente Astaldi, Grandi Lavori, Ghella, Toto, Bonatti, e un altro capitanato da Saipem, Technimont, gruppo Maltauro, Rizzani De Eccher – ma gli esiti non sono ancora stati resi noti, anche se le indiscrezioni di oggi danno per vittoriosa Saipem.
Pesante anche Danieli (-3,48%), che, rende noto una fonte interpellata dall’agenzia Mf-Dow Jones, ha rimpatriato 13 dipendenti che operavano negli stabilimenti siderurgici di Misurata.

Eni. Il Cane a sei zampe, che in queste ore sta rimpatriando i dipendenti non operativi e i loro famigliari, specifica in una nota che le attività procedono senza intoppi. Una rassicurazione obbligata: soltanto lo scorso luglio, al Forum Euromed, Scaroni annunciava nuovi investimenti per «quasi 20 miliardi di dollari» nel prossimo decennio. Presente nel paese dal 1959, quando l’Eni – che si chiamava Agip – ottenne la prima concessione, oggi il gruppo di San Donato Milanese è il primo operatore internazionale di idrocarburi con una produzione nel 2009 (ultimi dati disponibili) di 522mila barili al giorno (di cui 244mila in quota Eni, un sesto della produzione giornaliera del gruppo), oltre a essere anche il primo gruppo straniero nel settore del gas. Nell’ottobre del 2007, la società ha prolungato per un ulteriore quarto di secolo le concessioni nei pozzi del paese, che scadranno nel 2042 per il petrolio e nel 2047 per il gas.
Una relazione stretta che sembrava celare qualcosa di più: lo scorso autunno furono numerose e insistenti le voci che davano per certa l’entrata di Gheddafi nell’azionariato della società petrolifera, sulla scia dell’avanzata in Unicredit. In queste ore di tensione, un simile scenario appare lontano anni luce.
 

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