I piani per spingere la Grecia fuori dall’Euro

I piani per spingere la Grecia fuori dall’Euro

In teoria, è vietato uscire dall’Eurozona. Trattati alla mano, l’adozione della moneta unica è una scelta di non ritorno, mentre la legislazione comunitaria è meno rigida sulla possibilità di attuare una procedura di ristrutturazione per gli Stati in difficoltà, come nel caso greco e irlandese. Ciò non toglie che, secondo le voci che circolano sui mercati, alcuni studi legali internazionali, come Bird&Bird – che alla richiesta di informazioni de Linkiesta smentisce ma ammette: «Non ci stupirebbe» – sarebbero all’opera per capire come far uscire la Grecia dall’euro rispettando il quadro giuridico europeo. Una procedura complessa, che prevederebbe prima il default di Atene e poi l’abbandono di Eurolandia, scenario già ipotizzato da Simon Johnson, economista dell’Mit di Boston.

Il prestito congiunto Ue-Fmi a favore della Grecia ha de facto introdotto una nuova fattispecie nel diritto comunitario, tanto che i mercati ormai hanno scontato l’ammissione, da parte di uno Stato sovrano, di non poter onorare i propri impegni con i creditori, come avviene negli States. Ironia della sorte, nel 2009 fu proprio un cittadino ellenico, Phoebus Athanassiou, membro della direzione generale della Bce, a porre la questione. Nel paper curato dal funzionario, infatti, si legge che «anche prima della ratifica del trattato di Lisbona, teoricamente, non era impossibile un’uscita dall’Unione europea, attraverso una negoziazione concertata […], mentre un’uscita dall’area euro significherebbe l’abbandono dell’Ue».

Anche se non si può parlare di un vero e proprio «diritto di abbandono», all’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea (riformato dal Trattato di Lisbona in vigore da fine 2009) viene introdotta una clausola di way out dall’Europa, ma non dalla valuta. Il secondo caso, invece, si evince dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che all’art. 140 (comma 3), fissa il tasso irrevocabile al quale la moneta locale sarà convertita in euro. Il ritorno della Grecia alla dracma, dunque, è una questione tutta politica. Secondo quanto dichiara a Linkiesta Charles Proctor, partner dello studio londinese Bird&Bird, «l’uscita di uno Stato membro da Eurolandia andrebbe sottoposta a singoli negoziati con tutti gli Stati membri, una fase sicuramente non facile da gestire e dai sicuri effetti destabilizzanti sull’euro».
Se uno Stato non può assumere la decisione unilaterale di abbandonare l’Eurozona, gli altri membri non possono nemmeno espellerlo per non aver mantenuto gli obiettivi fissati da Maastricht: «Soltanto la Corte di Giustizia Europea può comminare delle sanzioni qualora uno Stato membro non rispetti le leggi europee», spiega ancora Proctor.

In realtà, un modo ci sarebbe. La Convenzione di Vienna del ’63, sul diritto dei trattati internazionali, all’art. 62 ipotizza che «un cambiamento fondamentale delle circostanze intervenuto rispetto alle circostanze esistenti al momento della conclusione di un trattato e che non era stato previsto dalle parti non può essere invocato come motivo di estinzione o di recesso», a meno che non stravolga gli obblighi da adempiere in base al trattato. A proposito, Paolo Guerrieri, ordinario di Economia politica alla Sapienza di Roma, osserva che «il meccanismo usato nel caso greco e irlandese è stato istituito con una sorta di artifizio giuridico, appellandosi alle misure emergenziali per le situazioni che mettano a repentaglio l’edificio dell’Unione europea». Per definizione, un’emergenza è temporanea.
Nessuno, Germania in testa, vuole infatti farsi carico delle difficoltà finanziarie altrui. Una posizione ribadita l’altroieri dal numero uno della Bundesbank Axel Weber – uscito dalla corsa per il dopo Trichet alla guida della Bce – durante un intervento in Estonia. Weber ha affermato che, nonostante l’European Financial Stabilisation Mechanism (Efsm), il sistema per prevenire future crisi (sostituirà, nel 2013, l’European Financial Stabilisation Facility, il veicolo di assistenza finanziaria da 440 miliardi di euro per gli Stati membri in difficoltà), «la clausola di non salvataggio rimane un elemento essenziale dell’Esm, nessun Stato membro avrà la responsabilità del debito degli altri Stati membri».

Un altro problema enorme, qualora la Grecia uscisse dall’euro, riguarda i diritti dei creditori e dei possessori dei bond denominati in euro, delineati con precisione nel caso di bancarotta. Angelo Baglioni, docente di Economia politica alla Cattolica di Milano, ipotizza che «tra l’annuncio e l’inizio della riconversione in valuta locale dei depositi uno scenario di fuga dei capitali e conseguente illiquidità delle banche locali è altamente probabile». In questo contesto, sotto quali garanzie verrebbero emesse le nuove obbligazioni in dracme? E quale valore avrebbero i suoi depositi presso la Bce? Quesiti le cui risposte sono più impellenti di quanto si immagini. 

Il quotidiano greco Eleftherotypia ha ripreso questo articolo in un’inchiesta sulla crisi ellenica

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