Tutto è avvenuto in tempi record: Borsa italiana il 31 gennaio ha autorizzato l’ammissione a quotazione, il lunedì successivo è iniziato il collocamento che da prassi durava cinque giorni. Ma giovedì sera è stato cancellato il tutto e quella che doveva essere la prima matricola 2011 per l’asfittico listino della Borsa italiana si è trasformato in un caso imbarazzante. O forse addirittura clamoroso. Non era mai successo che una matricola si autocancellasse ad operazione quasi ultimata, dopo essere faticosamente approdata alle porte del mercato azionario.
È successo a Philogen, una società nata nel 1996 “a capo di un gruppo italo-svizzero attivo nel settore delle biotecnologie, impegnato nello sviluppo di farmaci per il trattamento dei tumori e di altre malattie. Il gruppo opera attraverso l’emittente e la società svizzera controllata al 99,99% Philochem ag; i suoi ricavi dipendono in gran parte dai contratti di licenza e ricerca stipulati con la multinazionale farmaceutica tedesca Bayer” per usare le parole usate nel bollettino Consob del 7 febbraio. E proprio la Bayer con una “decisione inaspettata” ha risolto giovedì i contratti di licenza e sviluppo relativi al prodotto L19” come recita una laconica nota della società. In un sol colpo si è volatilizzato il 90% dei ricavi di Philogen che puntava allo sbarco a Piazza Affari per dare un forte impulso alle ricerche sui propri prodotti. Inevitabili venerdì la cancellazione dell’intera operazione, e il conseguente imbarazzo.
Oltre alle modalità non proprio ortodosse dell’operazione, emerge la delusione per quella che poteva essere un segnale di ritorno delle matricole in Borsa e rischia di diventare un caso. Le matricole in Borsa sono ormai eventi rari, perderne una per strada in questo modo non è piacevole. Negli ultimi 1000 giorni sono entrate nel listino italiano 7 società, 8 se consideriamo anche Fiat Industrial, ma ne sono uscite 31. A gennaio poi Prada ha annunciato la sua intenzione di quotarsi, ma per farlo ha scelto la Borsa di Hong Kong. Avrà i suoi buoni motivi e inoltre in questi giorni i listini azionari hanno annunciato fusioni a valanga, a conferma di una tendenza ormai irreversibile verso le Superborse. Hong Kong ha annunciato di essere aperto ad alleanze internazionali, la borsa italiana già andata a nozze con Londra si unisce a Toronto. Potrebbe seguire un matrimonio Francoforte-Parigi-New York. La Borsa di Singapore ha lanciato un’opa da 8 miliardi su quella di Sydney.
Ma al momento in attesa del big match tra le borse internazionalizzate e le piattaforme alternative (gestite da banche d’affari o direttamente da fondi speculativi) che fanno trading senza passare per i mercati tradizionali, le borse mantengono una residua impronta nazionale e tendono a rispecchiare pregi e difetti dei loro sistemi economico-finanziari. E lo stato di salute espresso dalla Borsa di Milano non è dei più esaltanti. In dieci anni Piazza Affari è passata dall’ottavo al ventesimo posto tra le piazze mondiali classificate per valore.
La capitalizzazione complessiva è scesa dagli 810 miliardi di euro del 2000 ai 390 di oggi. Dieci anni fa il mercato azionario valeva il 70% del Pil oggi poco più del 27%. E i delisting hanno superato di poco il numero di società che hanno fatto il proprio ingresso sul mercato. Nel 2010 si sono registrate due sole matricole. Solo 332 le società quotate, nonostante agli inizi dello scorso decennio sembrava che l’obiettivo dei 500 titoli fosse a portata di mano. Mancano da sempre le medie imprese, ma anche le Ferrero, le Barilla, le Lavazza, le aziende simbolo per marchio e struttura familiare del made in Italy, che avrebbero tutti i numeri per trasformarsi in blue chip ma non si convincono a fare il grande salto.
Le matricole non sono scomparse però dagli altri mercati finanziari: a livello mondiale le Ipo nel 2010 sono state più di 1.200 per una raccolta di capitali record, vicina ai 300 miliardi. Va detto che solo il 10% di questi è stato raccolto in Europa, mentre due terzi parlano lingue asiatiche, ma se non ci fosse stata Enel Green Power, una costola di Enel a dire il vero, il ballo delle debuttanti a Palazzo Mezzanotte si sarebbe risolto con un clamoroso fallimento.
Insomma, la borsa non ha avvertito né per partecipanti né per quotazioni il traino della ripresa. Ma il caso Philogen rischia di significare ben di più. Consob indaga e gli interrogativi che sorgono non sono pochi. Rischiava infatti di trasformarsi in un ennesimo bidone per il piccolo risparmiatore, se solo la decisione di Bayer fosse arrivata tra qualche settimana. Ed è lecito chiedersi se il prospetto esponesse con la dovuta chiarezza i rischi che corre una azienda monocliente, se la forchetta di prezzo e la conseguente capitalizzazione di almeno 222 milioni non fossero eccessive, se era opportuno quotare un gruppo che dichiara di dover mettere in conto perdite significative per i prossimi tre anni, e ad ultimo chi ha ritenuto che con simili incognite si potesse autorizzare la raccolta di pubblico risparmio.
Si riapre in una parola il problema di una migliore e più trasparente informativa al mercato, un tema che ha fatto da chiave di lettura degli ultimi 20 anni della storia del listino nazionale, che ha costretto Consob ad aprire centinaia di dossier, che ha visto scoppiare casi clamorosi, e che continua ad essere di attualità a fronte della crescente asimmetria informativa tipica dei mercati finanziari che da sempre prosperano nell’opacità. E si ha la conferma ad un timore serpeggiava da tempo: i prospetti messi a disposizione dei risparmiatori a loro tutela, così come sono fatti oggi servono a ben poco. Tanto più in tempi di superborse e di fusioni dei listini: capire chi debba occuparsene e come sia possibile mantenere un occhio attento alle realtà locali, oggi, è sempre più difficile.