La voragine irlandese fa paura all’Italia. Sulla testa delle banche italiane l’esposizione su Dublino pesa per oltre 15 miliardi di euro. Non propriamente quanto detto dall’Associazione bancaria italiana (Abi), che in dicembre aveva ribadito che l’Italia era esposta solo per 3,6 miliardi di euro. La Banca dei regolamenti internazionali ha infatti certificato che a settembre 2010, gli ultimi dati disponibili, erano a rischio molti più soldi. E intanto il buco delle banche irlandesi continua ad aumentare. Anche perché il Governo di Dublino ha dato, quasi all’oscuro dei regolatori, la possibilità ai propri istituti di credito di emettere obbligazioni garantite dalle stesse perdite presso il Tesoro. Il tutto proprio alla vigilia del voto per le elezioni presidenziali, che avverrà domani.
La National Asset Management Agency (Nama), cioè il veicolo con cui Dublino ha foraggiato le proprie banche acquistandone gli asset deteriorati, è vicino al collasso. Le perdite sopportate, secondo Barclays, sono superiori ai 200 miliardi di euro a fine gennaio. Una cifra che rende il pacchetto di aiuti da Ue e Fondo monetario internazionale (Fmi), 85 miliardi di euro, del tutto inadeguato.
Ora le due principali mele marce del sistema sono Anglo Irish e Irish nationwide building society, cioè i due istituti che stanno ripetutamente chiedendo liquidità alla Banca centrale europea (Bce) da una settimana tramite il sistema di prestito overnight d’emergenza. In sostanza, continuano a farsi prestare oltre 14 miliardi di euro di giorno in giorno a un tasso d’interesse, 1,75%, ben superiore a quello normale. Tramite la Nama i due istituti stanno cercando di dismettere degli attivi, solo che non riescono ad avere il supporto di liquidità necessario dal mercato interbancario tradizionale. Non riescono cioè a ottenere denaro dalle altre banche. Ecco quindi che la Bce sta intervenendo come prestatore di ultima istanza, un ruolo del tutto straordinario, come anche ricordato dal presidente Jean-Claude Trichet nel corso degli ultimi due anni.
L’abisso in cui è caduta Dublino sembra non avere fondo. Secondo uno studio di Deutsche Bank, oltre alle malversazioni contabili c’è di più. Sì, perché i due programmi con cui il Governo irlandese sta agendo a sostengo delle proprie banche possono rivelarsi un boomerang per tutto il sistema. Da un lato c’è lo schema ELG (Eligible liabilities guarantee), che permette alle banche di emettere nuove obbligazioni coperte dalle passività ascrivibili come garanzia presso il Tesoro. Esatto, gli istituti di credito possono cartolarizzare le proprie perdite e usarle per coprire le esigenze di rifinanziamento primario. Deutsche Bank ritiene che questa sia «una misura pericolosissima, in grado di ripercuotersi in modo significativo su tutta l’Eurozona». Sarebbe infatti l’Europa a dover nuovamente intervenire per aiutare i singoli sistemi bancari interconnessi con quello irlandese, come ricorda anche Alphaville, il blog finanziario del Financial Times.
Oltre a questo c’è di più, dato che la Banca centrale di Dublino ha iniziato a stampare euro da metà gennaio. Il tutto tramite il programma di assistenza straordinaria di liquidità (Ela), sostituendosi di fatto alla Bce, unica depositaria di questo privilegio. Secondo l’Irish Independent sono stati stampati circa 51 miliardi di euro, irrorati poi nel sistema bancario locale nel tentativo di placare l’emorragia di perdite. Cosa peraltro non riuscita, sostiene il quotidiano irlandese. Finora alla sola Anglo Irish sono stati erogati oltre 35 miliardi di euro di liquidità e i bilanci continuano a essere in pesante rosso.
Il pacchetto di aiuti di Ue e Fmi rischia di aumentare ogni giorno di più. La Germania sta spingendo affinché il fondo europeo di stabilizzazione finanziaria (Efsf) sia dotato di una mole ancora più grande di denaro, attualmente fissata a 440 miliardi di euro. L’Efsf infatti è uno degli strumenti con cui si sta aiutando l’Irlanda, tramite l’emissione di obbligazioni garantite dall’Eurozona. Eppure, questo potrebbe non bastare.
La banca americana Citigroup, in un report di inizio febbraio, metteva in guardia i suoi investitori istituzionali dalla situazione irlandese. «Le perdite non hanno ancora raggiunto il loro picco, che potrebbe essere ancora più grande dopo l’attivazione dei meccanismi di aiuto comunitari, dato che le banche irlandesi stanno cercando di coprire le passività dei propri veicoli fuori bilancio», spiega Citi. In altre parole, devono ancora essere contabilizzate tutti gli strumenti finanziari finora rimasto fuori dal computo generale dei conti. E c’è già chi da una prima stima, del tutto provvisorio e probabilmente da rivedere a ribasso. Per UBS, il più grande istituto bancario elvetico, «fuori bilancio potrebbero esserci circa 200 miliardi di euro, dato che la finanziarizzazione irlandese, causa un regime fiscale favorevole, è stata molto spinta negli ultimi dieci anni». Se così fosse, per le banche italiane potrebbero arrivare tempi duri. Nonostante le raccomandazioni alla calma dell’Abi.