Una Lonely Planet liberale. Una guida sincera, ancorché soggettiva, al servizio del lettore curioso. Un lettore che ne ha piene le tasche di uno scontro politico che da diciassette anni cristallizza la vita di questo povero Paese. Un lettore che legge sempre e solo lo stesso giornale, il suo per definizione, e che non butta mai l’occhio sugli altri perché – principalmente – non si fida. Perché gli hanno detto, e lui adesso ne è convinto, che gli altri sono sempre e comunque in malafede, perché gli hanno spiegato che se lavori in un certo giornale sei automaticamente un servo del padrone/editore.
Questa Lonely Planet liberale ha l’ambizione di superare un’asticella impossibile, consumandosi le suole alla ricerca di una certa figura di professionista. Ohibò, esiste ancora il giornalista che fa della decenza professionale un punto distintivo, quello che non è piegabile a logiche interne distorte, quello che al randello continua a preferire la penna e le idee? Insomma, un giornalista sereno, che valuta, che pondera, che manda in pagina anche la sua stessa credibilità.
Il lavoro di ricerca non è stato facile, ammettiamo, e lo stagno, molto ristretto, è solo quello della politica e della cronaca applicata ad essa. Ma feticisti come siamo di giornali e giornalisti, qualcosa da offrirvi abbiamo scovato. È un pacchetto di mischia sincero, vivace e variegato, una sorta di Resto del Mondo contro tutti i pregiudizi. Molti sono una nostra conoscenza diretta, e giammai anteporremmo l’amicizia personale ai requisiti severissimi che servono per entrare nella nostra guida. Altri sono più semplicemente il frutto di letture continue e applicate ad argomenti diversi, in modo da intrecciare i dati come farebbe un cronista scrupoloso.
Il nostro viaggio parte dai quotidiani della destra, spesso accusati d’essere il megafono del padrone. Essendo Berlusconi capo del governo, si può capire il carico di responsabilità di chi, scrivendoci, vuole comunque mantenere un tono di autonomia intellettuale.
In questa piccola guida liberale, uno come Gianluigi Nuzzi (Libero) ci sta benissimo. Prendendola per via laterale, consiglieremmo di valutare, ancor prima della scrittura e delle idee, l’eleganza del nostro, quasi da vecchio signore con quegli abiti di sartoria un po’ fané, il calzino dal color vivace, la cravatta un filo irrispettosa e l’uso impeccabile del collo alto. Siamo anche quello che vestiamo, e in questo senso Nuzzi è del tutto confortante.
Ma a parte lo stile, ciò che interessa è l’idea che nei suoi articoli appaia – nitida – la sensazione che nulla di importante verrà negato al lettore, fosse pure un qualcosa di sgradevole al Cavaliere. Logico e conseguente in un’Italia normale, da noi quasi eccezionale. Qualche giorno fa, con la massima serenità, il cronista di Libero raccontava in televisione che in qualunque paese del mondo uno come Berlusconi si dovrebbe dimettere. E con altrettanta schiettezza, elevava le sue eccezioni all’inchiesta milanese.
Sempre “liberista” ma probabilmente ancora per poco, visti i suoi burrascosi trascorsi con Feltri, dobbiamo qui farvi il nome di Filippo Facci, sapendone i rischi. Il tipo divide, non è sopportabile a larghi strati di cittadini, mentre altrettanti ne solleva d’entusiasmo. In questa spaccatura c’è forse la sintesi di ciò che vogliamo rappresentare: è possibile valutare anche il buono di Facci per chi non lo ama? Anche chi scrive, per lunga pezza ha preferito rimuovere l’argomento. Ma oggi, siamo pur arrivati a una conclusione non affrettata e dopo ambasce ripetute. Facci non è riconducibile a schemi preordinati, né poveri illusi potranno mai dire d’averlo totalmente imprigionato. Il tipo, a un certo punto, scarterà. Vicenda Carfagna, per tutte.
Il Giornale è il giornale di famiglia, e dunque l’affare si fa spesso. Inutile negare la sostanza politica di un’impresa editoriale che fa capo comunque a Berlusconi, ma allo stesso modo si può, si deve, pensare che esistano zone di libertà intellettuale che nessun padrone potrà mai coartare.
I nomi che giriamo ai nostri lettori, anche ai più curiosi di sinistra, sono piuttosto noti, anche se la malafede dominante può indurre alle peggiori malignità. Come per Libero, dove Nuzzi viaggia incontrastato, qui va indicato Gian Marco Chiocci, inchiestista di primissimo rango. Per dire, e neppure tanto provocatoriamente: Chiocci è uno che potrebbe lavorare tranquillamente al Corriere o a Repubblica. Non è qui in discussione, né per lui né per altri, l’uso che i giornali di riferimento fanno dei pezzi dei loro cronisti. L’importante – questo è lo sforzo liberale – è valutare da lettore la libertà intellettuale dei singoli individui.
Sempre per restare al Giornale, vale la pena di rimandarvi a Marcello Veneziani, al quale non fa difetto una certa chiarezza e più di una punta di irriverenza per il potere. Siamo sempre lì: quanto è difficile in un quotidiano come questo poter scrivere di Berlusconi in maniera assai poco celebrativa? Ecco, pensate che ogni tanto Veneziani lo fa e poco importa ch’egli venga magari considerato foglia di fico, meglio una foglia, anche striminzita, di tanti altri giornali celebrati dove non si riesce a scrivere mezza riga a favore del Cavaliere.
Da notare un aspetto. Per i giornali della destra, abbiamo pescato soprattutto tra i cercatori di notizie. È forse più facile scovarci il gioiello, le notizie pesano e se ci sono fanno l’autonomia di un giornalista. Più complicato pescare nello stagno della politica, dove in tutti i quotidiani i cronisti vengono chiamati a corroborare tesi precostituite. In una prossima puntata, cercheremo di colmare questa lacuna.
Più facile, ovviamente, districarsi nei giornali cosiddetti liberal, dove in teoria, ma solo in teoria, si dovrebbero notare una disinvoltura e un distacco evidente dal potere e dalla politica. Il Corriere ha 17 padroni e, per paradosso, la politica sembra la prateria meno contaminata dalle pressioni.
Se amate il Pd e volete incazzarvi sapendone le pene più nascoste, il consiglio spassionato è quello di leggere i resoconti di Maria Teresa Meli. Attenzione, questo consiglio contiene anche un margine di rischio: qualcuno potrebbe lamentare un’eccessiva e sospetta cattiveria da parte di questa cronista, che invece muove le sue corrispondenze sospinta unicamente dalla voglia di rompere i coglioni al potere. Chi scrive, auspica che la Meli passi un bel giorno ad occuparsi della destra, ne vedremmo davvero delle belle.
Per il secondo nome corrierista, ci togliamo dal guazzabuglio politico anche se la sua rubrica è profondamente politica. La trovate in ultima pagina, è comprensiva di fotografia, il suo titolo è “A fil di rete”. Parliamo di Aldo Grasso, ovviamente, spina, fiocina, rostro nel fianco di tutte quelle anime televisive e non che hanno portato questo paese alla desertificazione di contenuti. Il professore è il più grande cattivo che il giornalismo oggi possa contemplare, non c’è perdono, né prece che possano intenerirlo, quando il veleno entra in circolo la vittima muore in poche ore. Non perdetevi, poi, le patetiche risposte dei “colpiti”, ne ricaverete ulteriore determinazione per fuggire all’estero.
Da Torino, attualmente, ci perviene la brezza più liberal che c’è. La Stampa vive la contrapposizione politica con grande attenzione ma pure con invidiabile distacco. Anche in questo caso faremo un paio di nomi, approdi che possono pacificare il lettore con il buon giornalismo e la serenità d’intenti. Il primo è quello di Michele Brambilla, inviato di buonissima scrittura e soprattutto poco incline a seguire la corrente (d’opinione) dominante. Brambilla ha memoria politica, è curioso, non si ferma alle versioni di comodo. È conosciuto come giornalista non di sinistra, ma benedetto il momento in cui si riesce a uscire da questo ricatto secondo cui se non sei di sinistra non puoi avere una sensibilità sociale.
Altro nome è quello di Fabio Martini, cronista politico. Qui siamo, secondo chi scrive, alla pienissima credibilità professionale. Martini si è occupato molto di destra, ma spesso si fionda dall’altra parte con risultati altrettanto brillanti. Spesso alimenta il dubbio, ha modi gentili ed eleganti che ne fanno un giornalista quasi d’altri tempi. Una conversazione con Martini vale due tomi di politica, e soprattutto ha il passo della modernità.
E siamo a Repubblica. Avvertiamo la responsabilità di offrire ai nostri lettori curiosi, due anime liberal del quotidiano diretto da Mauro. Un giornale che negli ultimi tempi ha spesso identificato se stesso con la visione salvifica della società. Pur piegandolo su obiettivi politici dichiarati – la caduta di Berlusconi – Mauro fa un prodotto di livello massimo, editorialmente parlando, tanto che è da considerare il primo giornale italiano.
Via allora il primo dente: Filippo Ceccarelli, autenticamente fuoriclasse. È il raccontatore moderno e antico delle nostre repubbliche, prima e seconda, è il filo rosso della memoria, è cucitore arguto di miserie umane. E’ chiamato, in tempo di contrapposizione violente e da un giornale come Repubblica, a un compito delicatissimo e difficile. Restare giornalista di stile, immaginando una chiave costantemente nuova, mai lasciandosi trascinare dall’irruenza dello scontro.
Per chiudere e sempre a Repubblica, Claudio Tito, capo del politico, ma all’occorrenza spesso ancora cronista. Al suo giornale un punto di riferimento per tutti. Tito, lungo corso in agenzia, ha la tigna e la pazienza per aspettare uno scorcio di luce. Non cede mai agli urlatori, ma tiene sempre per sé una cartuccia di buon senso.
Cari lettori, questa è la nostra modestissima guida per orientarvi tra giornali così diversi. Provate a leggere chi vi abbiamo indicato. Ma, nel frattempo, indicateci anche i vostri nomi.