Usciremo dal pantano afghano? Il pessimismo dell’Onu

Usciremo dal pantano afghano? Il pessimismo dell'Onu

Trentasette vittime dall’inizio della missione, nel 2004. Tredici, solo nell’anno appena trascorso. L’ultimo lutto tra i militari italiani, quello del tenente Massimo Ranzani, è di oggi. Una lunga e triste fila di morti e una certezza: in pochi mesi il conflitto afghano ha raggiunto un livello di violenza finora inedito. Il rapporto elaborato dall’Osservatorio di politica internazionale e consegnato in Parlamento dipinge un quadro sconcertante. «In Afghanistan – si legge – il contesto di sicurezza resta precario». Non è il solo. Stando ai rapporti presentati negli ultimi mesi dai principali think tank internazionali, la strategia delle forze internazionali in terra afghana è fallimentare.

L’Italia, intanto, decide di aumentare il suo contingente. Il decreto legge che ha finanziato le missioni Isaf ed Europol nell’ultimo semestre del 2010 prevedeva lo stanziamento di 3.941 soldati. Il decreto 228 relativo ai primi sei mesi del 2011 porta le nostre truppe a 4.350 unità.

Il numero dei militari cresce e l’Afghanistan è sempre meno sicuro. Gli elementi di preoccupazione evidenziati nel rapporto dell’Osservatorio di politica internazionale sono almeno tre. Il dato più preoccupante riguarda le attività dei combattenti talebani. «L’insurrezione – si legge – sta allargando il raggio delle proprie azioni anche ad aree fuori da quelle di tradizionale radicamento». Non più solo il sud del Paese, ma anche l’ovest e il nord. Non è un caso che nelle province dove opera il contingente italiano si è registrato – già nel 2009 – un incremento del 50 per cento degli attacchi contro obiettivi “occidentali”. Un’escalation che neppure il discusso processo di riconciliazione nazionale voluto dal presidente Karzai è riuscito ad arginare. Meno incisivo del previsto, poi, l’operato delle truppe Nato. «Una campagna di contro-insurrezione – recita il rapporto – che sta procedendo più lentamente di quanto previsto».

Per comprendere la situazione afghana è opportuno leggere il rapporto del Segretario generale Onu all’Assemblea generale e al Consiglio di sicurezza dello scorso 10 dicembre. Il documento sottolinea l’aumento delle violenze. Nei primi sei mesi del 2010, il numero degli scontri è cresciuto del 66 per cento rispetto all’anno precedente. Nello stesso periodo, il numero di vittime civili, pari a 6.215, è aumentato del 20 per cento. Il fronte si allarga, anche secondo i dati delle Nazioni Unite. L’attività insurrezionale dilaga ormai nelle zone del paese dove la presenza delle truppe Nato meno capillare. Nel nord e nell’est dell’Afghanistan.

Il documento del think tank statunitense Council on Foreign Relations, pubblicato lo scorso novembre, sottolinea le crescenti difficoltà del contingente Usa nel processo di ricostituzione delle forze armate afghane. Il motivo? Secondo il centro di ricerca indipendente statunitense mancano gli addestratori specializzati. Recentemente il Congresso avrebbe deciso di tagliare i finanziamenti a questo tipo di attività. Difficile, dopo i risultati delle elezioni di Mid-Term dello scorso novembre, che la strategia cambi.

Tre, per il Council on Foreign Relations, gli elementi che dovrebbero integrare l’attuale strategia in Afghanistan per giungere in tempi ragionevoli ai primi risultati. Un processo di riconciliazione nazionale tra le parti in conflitto all’interno del Paese (da raggiungere limitando i poteri del presidente Karzai e coinvolgendo le potenze più vicine come Cina, Russia e Iran); un’accelerazione del progetto di autonomia per le forze armate afghane; «La promozione della crescita e dello sviluppo economico del Paese».

La capacità di combattimento delle forze armate afghane è un obiettivo centrale della missione Nato. Eppure, come evidenziava alla fine dello scorso novembre anche il rapporto dell’International Crisis Group, da questo punto di vista il contingente internazionale è ben lontano dal raggiungere risultati soddisfacenti. Non solo. Secondo l’organizzazione non governativa di Bruxelles, le operazioni militari messe in atto dalle truppe Nato non incidono a sufficienza nel conflitto. La prova è l’accresciuta capacità di azione dell’insorgenza e – si legge sul dossier della Camera dei deputati che ha raccolto un estratto del documento – «come questa trovi ancora significative possibilità di rifugio oltre il confine pachistano».

Pessimistiche le conclusioni dell’International Crisis Group, che suggerisce una sospensione del calendario di ritiro delle forze Isaf. Secondo l’organizzazione presieduta dall’ex commissario Onu per i diritti umani Louise Arbour, è necessario prolungare l’impegno del contingente internazionale in Afghanistan. Per contenere le forze insorgenti ma, soprattutto, per evitare il rischio di una nuova guerra civile.

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