All’Italia mancavano solo i conduttori-tv a rotazione

All’Italia mancavano solo i conduttori-tv a rotazione

Qui a Linkiesta ci siamo dati quelle quattro regolette-base di pubblica decenza per sottrarci all’acquitrino politico e vorremmo tanto tenere il punto. Per giorni è andata esattamente così, mentre tutt’intorno pregevoli intelligenze s’adoperavano a quell’operazione cristallina di ridistribuzione televisiva, in modo che un po’ di destra annacquasse lo strapotere della sinistra.

Per cui, abbiamo vissuto con favore l’arrivo di Sgarbi con relativa bellezza al seguito, ci siamo compiaciuti che Ferrara avesse ripreso confidenza con la sua parte catodica, accettando l’offerta di rifare Radio Londra sulla Rete Uno, ci saremmo persino cibati di un Socci due la vendetta, se fosse stato necessario per il bene del Paese. Per noi, insomma, tutto poteva anche avere un senso, se doveva servire a pacificare lorsignori da un’ossessione antica e così finalmente andare in onda, ognuno con la sua creatura e soprattutto ognuno con il suo share.

E invece niente. Guardandoci negli occhi, ci siamo accorti che lo stupore si faceva beffe di noi “resistenti”, qualcuno addirittura ridacchiava chiudendosi in bagno, altri si lasciavano andare al caro vecchio adagio, ormai anche un filo provinciale, del «non ci posso credere».

Ma cos’è potuto succedere di così ridicolo, da mettere in dubbio i nostri sacri principi ispiratori? Che nella commissione di Vigilanza, attualmente impegnata a tracciare le linee guida del nuovo pluralismo televisivo, il relatore di maggioranza, il pregevole senatore Alessio Butti, ha proposto la nuova conduzione a singhiozzo politico, cambiando giornalista (e relativo orientamento) ogni settimana. Per cui se un martedì c’è Floris a condurre Ballarò, il martedì successivo toccherà a Belpietro. E così anche per Anno Zero, una settimana Santoro, quella dopo Sallusti. Butti ha dato anche una sua dotta spiegazione: «Occupare sempre le serate di martedì e giovedì è diventata una rendita a vantaggio di alcuni conduttori».

C’è forse qualcosa di malato in un pensiero politico che utilizza tecniche da fecondazione in vitro per fare giornalismo? In effetti, in televisione c’è un problema dei problemi: bisogna saperla fare. E in tutti questi anni, da Guglielmi in poi la sinistra s’è molto addestrata alla bisogna, riuscendo nell’impresa. Il che non significa condividere acriticamente i contenuti, che invece appartengono alla libera scelta intellettuale di tutti noi. Ma che quelli sappiano fare televisione, questo ormai è un dato da mettere in banca.

Non è un caso se a parte Vespa, nella destra non è mai nato nulla di giornalisticamente stabile e apprezzabile, televisivamente parlando, e per fortuna torna almeno Ferrara che è anima inquieta e non banale. Si è parlato per mesi di un Belpietro d’attacco, ma poi nessuno ha visto nulla.

Sarà vero, forse, quel che scrisse anni fa, sul Corriere, Ernesto Galli della Loggia, secondo il quale la cultura della destra, questa destra, non poteva mettere in crisi l’egemonia della sinistra per il fatto che era costruita sul battutismo da bar.

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