Chi si aspetta grandissimo stile, paillettes e flash a dispetto della sostanza rimarrà deluso. L’azienda Armani è in forma eccellente con un ragionevole ritorno sul capitale investito. Anche in un anno difficile come il 2009, le vendite in generale crescono e i debiti sono inesistenti. L’unica perplessità riguarda il rischio di essere super esposti nei confronti dei mercati emergenti. La differenza con Prada, tuttavia, sta nel fatto che Armani ha un flusso di cassa tale da consentirle di superare agevolmente un eventuale rallentamento della crescita in quell’area. Analizzando questi punti uno per uno, scopriamo che il ritorno sul capitale investito nel 2009 è stato dell’11,6%, il livello più basso dal 2000 – in uno degli anni più contrastati per il settore – ma la media dell’ultimo decennio è del 22%. L’unica società italiana vicina ai livelli della casa dello stilista piacentina è Recordati, per lungo tempo una gemma ignorata del listino italiano, mentre a livello internazionale Armani è molto vicina al 26% della Coca Cola. Da questo punto di vista, che riflette l’ottima allocazione dei fondi a sua disposizione, la forza del brand e l’appeal dei suoi prodotti, Armani potrebbe giocarsi tranquillamente il titolo di azienda italiana meglio gestita.
Dal 2000 a oggi, tranne nel 2009 e durante la recessione del 2003, il fatturato è cresciuto ogni anno da 1 miliardo a 1 miliardo e mezzo di euro: un eccezionale incremento del 50% in un decennio, unito a notevoli ritorni sul capitale investito sono due fattori che indicano molto bene che con ogni probabilità la società ha scelto con oculatezza i propri punti vendita senza espandersi aggressivamente. Con ogni probabilità. Come già sottolineato in precedenza, l’unica paura è che la strategia aggressiva sui mercati emergenti abbia creato un sovraffollamento di negozi, che non sarebbero in grado di garantire al brand un volume sufficiente di vendite in caso di frenata macroeconomica. Nel 2009, i monomarca sono aumentati del 13%, toccando quota 609 dai 537 dei 12 mesi precedenti. Qualora effettivamente si verifichi questo rallentamento, Armani si è posizionato molto bene, per un motivo semplice.
Il motivo è nella cassa che la società tiene in pancia. Alla fine del 2009, la cassa netta ammontava a 400 milioni di euro, cifra equivalente al 25% del fatturato, di 3 o 4 anni di profitti e di 6 anni di investimenti. Un altro modo per ribadire che, qualora l’economia mondiale tornasse in recessione, Armani non avrebbe nessun problema nei confronti di fornitori, terzisti e banche. Decisamente una situazione «lussuosa», poiché il gruppo potrebbe continuare ad espandersi indipendentemente, seguendo cioè il proprio piano industriale senza dipendere da decisioni altrui. Una libertà che deriva da un flusso di cassa medio di circa 120 milioni di euro negli ultimi 10 anni.
L’unico vero problema irrisolto, lo stesso che sta preoccupando non poco la Apple, è cosa succederà quando se ne andrà l’uomo visionario che ha costruito il brand e ne è testimonial e sinonimo nel mondo intero. La storia di Valentino insegna che è piuttosto difficile trovare qualcuno in grado di calarsi nei panni di un grande stilista, sia in termini di idee che di cachet. Ma sul lato dei conti, la struttura del management, tutto tranne che creativa, ha saputo mantenere negli anni un livello tale da garantire alla maison tutto il tempo necessario per trovare un erede.
*analista indipendente