Tutto è partito con un errore di trascrizione. Un banale errore dello spedizioniere nella compilazione di alcuni documenti quando, a novembre 2009, transitano da Malta 7.500 pistole semiautomatiche 1.900 carabine semiautomatiche e 1.800 fucili della fabbrica bresciana Beretta. Armi autorizzate dal Governo italiano in base alla legge 110/75 che regola l’export di armi sportive, civili e da difesa ma che non rientrano in nessuna relazione parlamentare, perché considerate «piccole e di non specifico uso militare». La destinazione finale è Tripoli con consegna al colonnello Mohamed El Daimi, capo della Direzione armamenti della Pubblica sicurezza. Ma ecco che scatta l’errore di trascrizione: il carico da 17 quintali viene registrato per 79 milioni di euro, ma in realtà il suo valore è 7,9 milioni. Fin qui, niente di male.
Passano 16 mesi e in Libia scoppia la rivolta contro il colonnello Muammar Gheddafi. Sotto accusa finiscono tutti i Paesi che hanno fornito armamenti che ora il Rais usa per schiacciare gli oppositori. Nei primi cinque posti del rapporto Ue sull’export di armi la piccola Malta risalta per lo «strano» carico da quasi 80 milioni di euro di armi leggere del 2009. Sotto accusa il Governo di Valletta si difende dichiarando che «le armi in questione erano italiane, pienamente autorizzate da Roma e dall’Ambasciata italiana a Tripoli e non hanno mai toccato terra nel porto di Valletta». Scoppia il caso con il sospetto, sollevato dalla Rete per il disarmo e dalla Tavola della pace, di una triangolazione verso Tripoli di armi italiane al colonnello. Arriva anche la smentita dell’azienda di Gardone Valtrompia guidata da Ugo Gussalli Beretta che in comunicato del 24 febbraio scorso dichiara: «La Fabbrica d’Armi Pietro Beretta smentisce seccamente e giudica priva di qualunque fondamento la notizia relativa ad una presunta fornitura di 79 milioni di euro di armi da parte dell’azienda al governo libico tramite Malta».
Da dove vengono pistole e fucili made in Italy? Il mensile Altreconomia mette in fila i fatti e i conti non tornano: si incrociano anche i dati Istat dell’export italiano verso la Libia che indicano un valore di circa 8,1 milioni di euro per «armi, munizioni e loro parti e accessori». Così si scopre il ruolo della Beretta nelle autorizzazioni e nei pagamenti ricevuti tramite la banca libica Ubae. «Beretta – dice Carlo Tombola, direttore dell’Osservatorio sulle armi leggere – si è guardata bene dal dichiarare che nel 2009 aveva inviato oltre 11 mila armi di sua fabbricazione ai funzionari del colonnello Gheddafi».
La svolta arriva il 2 marzo. Sotto pressione dell’opinione pubblica internazionale Malta svela l’errore in una comunicazione ufficiale, correlata dalla dichiarazione dello spedizioniere di Valletta. Al momento della spedizione nessuna sanzione nega l’export alla Libia e le armi viaggiano accompagnate da autorizzazione dell’ambasciata italiana. Tutto in regola per il governo maltese ma per l’Italia rimangono gravi ombre perché il caso rende bene l’idea di come funziona male il meccanismo di controllo delle armi: per le armi leggere e sportive non c’è l’obbligo di specificare il dettaglio della spedizione ma solo il valore delle “merci” che potrebbero essere parti meccaniche, ingranaggi, o pistole da usare nei poligoni di tiro. «Al di là del errore di trascrizione – afferma Francesco Vignarca, della Rete Italiana per il Disarmo – abbiamo ampiamente accertato che l’Italia nel 2009 ha esportato armi di tipo semiautomatico, molto simili a quelle militari e comunque estremamente letali alla Libia senza darne alcuna comunicazione né al Parlamento né all’Unione Europea. Resta il fatto – gravissimo – che il Governo italiano abbia deciso di non segnalarla nelle relazioni all’Unione Europea senza poi fare un passo ufficiale di chiarezza una volta esploso il caso».
Già perché l’Italia ha sottoscritto la “Posizione Comune del Consiglio dell’Unione europea” sulle esportazioni di armamenti del 2008 che definisce norme comuni per il controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari. La decisione comunitaria chiede espressamente ai governi prima di ogni esportazione di armi di accertare il «rispetto dei diritti umani nel paese di destinazione finale, il rispetto del diritto internazionale umanitario da parte di detto paese» e di rifiutare le esportazione di armi «qualora esista un rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possano essere utilizzate a fini di repressione interna». La Libia del 2011 di Muammar Gheddafi.