(pezzo aggiornato alle 12.00 aggiungendo alla fine del terzo paragrafo e al quarto commenti sulla mossa di Assad che ieri sera ha annunciato riforme e detto di non aver dato l’ordine di sparare)
Tutto è iniziato venerdì scorso con l’arresto di 15 bambini che stavano imbrattando dei muri con scritte anti-governative. Da quel momento il numero di morti varia a seconda delle fonti: 25 secondo un medico citato dalla Reuters, 45 secondo Ong citate dalla Bbc, 100 secondo i manifestanti. Quello che è certo è che la situazione in Siria, dove dal 1963 vige lo stato d’emergenza che ora il regime dice di voler abrogare, è la maggiore sfida da quando Bashar al-Assad, uno spilungone con studi di oftalmologia a Londra, nel 2000 è succeduto alla presidenza al padre Hafez. Tuttavia, non sembra che il giovane Bashar (è nato nel 1965) rischi di fare la fine di Hosni Mubarak o di Ben Alì. «L’esercito, a differenza di quanto accaduto in Egitto e in Tunisia, sta con lui», spiega a Linkiesta Rime Allaf, siriana, docente al Royal Institute of International Affairs di Londra, una delle maggiori esperte mondiali di quanto accada a Damasco e dintorni. Bashar ha dato un segnale di dialogo annunciando una serie di riforme per contenere la protesta ma nel Paese, aggiunge Allaf, lo scetticismo che il regime faccia sul serio è forte.
Prima però una premessa. Chi segue da vicino gli affari siriani paragona l’ascesa al potere degli Assad a quella dei corleonesi. Già il loro rito religioso è particolarmente severo, anche se il Paese è fondamentalmente laico, di ispirazione baathista. Gli Assad sono parte di una piccola setta, gli alauiti (e quindi sciiti), e la gran parte degli alauiti conosce ben poco dei contenuti dei loro testi sacri o della loro teologia, che è custodita da una ristretta cerchia di iniziati maschi. Nello specifico poi il clan Assad è sempre stato noto per la durezza e l’efferatezza dei suoi metodi. Il mistero sulla morte di Ghazi Kanaan, ex capo dell’Intelligence siriana in Libano, lo si legge in quest’ottica. La versione ufficiale parla di suicidio. Ma negli ambienti è sempre circolata un’altra storia, che Kanaan sia stato suicidato: nel regime si entra, ma non se ne esce vivi. Le loro modalità poi non prevedono compromessi: quando nel febbraio 1982, nella città di Hana, nella Siria centrale, gli abitanti si erano ribellati, Assad padre mandò i carri armati. Fu una strage: la rasero al suolo e almeno 20.000 persone furono massacrate, cifra che secondo l’opposizione va raddoppiata.
«C’è una grande differenza fra quanto accadde all’epoca a Hana e quanto sta succedendo ora a Deraa(120 km a sud di Damasco presso la frontiera con la Giordania ed epicentro delle proteste di questi giorni, ndr)», sottolinea Allaf. «Non solo la scala dei morti non è comparabile a quanto sta accadendo in questi giorni. All’epoca c’era un fermento che stava crescendo e che toccò l’apice coi fatti di Hana che distrussero qualsiasi tipo di opposizione. Almeno fino a oggi. Ma adesso non siamo ancora giunti a questo punto. Le folle che stanno scendendo in piazza in questi giorni sono ancora molto piccole e spesso organizzate spontaneamente coi social network». Negli anni ’80 era diverso: «C’era un’opposizione ufficiale al regime con i Fratelli Musulmani che giocavano un ruolo importante. Ora invece si tratta di gente comune, non organizzata, che è molto arrabbiata per quanto il regime ha fatto ai loro figli e da questo episodio, da questa slavina, è nata una valanga». Ma appunto è una valanga che per ora non sembra rischiare di poter raggiungere la capitale. «In Tunisia l’esercito si è rifiutato di sparare sulla folla, si è schierato con lo Stato e non con il regime. Qui i militari sembrano stare col dittatore. Sono loro che hanno attaccato la folla davanti alla moschea due giorni fa. Questa è una battaglia molto più complicata, molto più difficile». Assad ha fatto sapere ieri sera di non avere ordinato di sparare sulla folla. «Il regime è nei guai – commenta oggi Rime Allaf – e per questo qualche giorno fa ha emesso un decreto per le dimissioni di Faysal Kulthum, governatore di Daraa. Ora poi cerca di scaricare anche le colpe su chi ha sparato. Ma non c’è dubbio che i generali siano con lui».
Ma la vera mossa a sorpresa del Presidente siriano è stata l’annuncio di un piano di riforme che vanno dalla liberazione di prigionieri politici all”innalzamento immediato del 30% dei salari ai dipendenti pubblici e la distribuzione di incentivi di varia natura, oltre alla promessa di un pacchetto per far fronte a disoccupazione e corruzione. «È stata una mossa a sorpresa in vista delle manifestazioni di oggi» aggiunge la studiosa «non credo che il regime possa essere indebolito fino al punto di cadere anche se è vero che se oggi molta gente si riversasse in piazza, sarebbe di sicuro un messaggio molto forte. Ma anche nel 2005 Assad fece molte promesse che poi non ha mai mantenuto. Già all’epoca ad esempio promise l’apertura al pluralismo politico ma poi le cose sono solo peggiorate. Molti vorrebbero credere che sia vero ma lo trovano difficile. Ad esempio non ha liberato i prigionieri politici, come ha fatto intendere, ma solo quelli di Deraa. Quelli che due settimane fa sono stati messi in prigione a Damasco e picchiati dalla polizia non sono stati liberati anche se sono in sciopero della fame. Quello di ieri mi pare un messaggio molto ambiguo».
I movimenti dei siriani sono sotto scrutinio soprattutto da quando il Libano ha preso la guida al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nello stendere la risoluzione 1973 che ha dato il via libera all’attacco alla Libia. Strano questo ruolo di Beirut perché in Libano il governo in formazione è più vicino del precedente a Hezbollah, il movimento filo siriano e filo iraniano che difficilmente può vedere di buon occhio che gli occidentali attacchino un Paese arabo. Rime Allaf concorda con quanto abbiamo scritto nei giorni scorsi che la ragione principale stia in una vendetta per il presunto assassinio di Musa Sudra, l’Imam padre spirituale degli sciiti libanesi, fatto sparire da Gheddafi il 31 agosto 1978 durante un viaggio a Tripoli.
«Quella dell’Imam Sudra è sicuramente una delle ragioni principali dietro alla rabbia libanese contro Gheddafi. Un regolamento di conti a livello personale con il Colonnello. Il governo libanese, a causa di questa storia, ha cercato per anni di perseguire legalmente l’uomo forte del regime libico. Su questo non c’è dubbio». In più va anche considerato che «con il governo libanese in formazione Hezbollah sta magari cedendo su alcuni punti per guadagnare su altri fronti, come per esempio sul problema del Tribunale speciale sul Libano» che vuol mettere sul banco degli imputati Hezbollah per l’assassinio dell’ex primo ministro libanese Rafik Hariri. Tuttavia non è la prima volta che la Siria si comporta in maniera strana (alcuni direbbero responsabile) al Consiglio di sicurezza: «Nel 2002 votò a favore della risoluzione 1441 che fu più tardi usata da Usa e Regno Unito per giustificare l’invasione in Iraq». I corleonesi non si sono mai mostrati così responsabili e forse anche questa è una ragione per cui gli Assad non sembrano per ora così in pericolo.