BERLINO – Un capitolo lungo 57 anni potrebbe chiudersi domani in Germania. Dal 1953 i democristiani della Cdu, partito di Merkel, governano indisturbati il prospero e conservatore stato meridionale del Baden Württemberg. Si tratta di una tessera chiave nel puzzle del governo tedesco, che potrebbe però passare in mano alla coalizione formata da Verdi e Socialdemocratici se le elezioni confermeranno i sondaggi degli ultimi giorni. Una sconfitta in questo Land significherebbe un fallimento personale per Merkel e potrebbe forzare un rimpasto di governo o peggio.
Due stati tedeschi votano questo fine settimana per rinnovare i loro parlamenti locali. L’occidentale Renania-Palatinato, storica roccaforte dell’Spd, in cui i socialdemocratici sono dati come favoriti e il cui risultato elettorale è considerato poco influente, e il Baden Württenberg. Chi osserva da fuori potrebbe non essersene accorto perché tutti i riflettori sono puntati verso questo secondo stato chiave, motore economico e fiore all’occhiello della Repubblica Federale, che vanta, tra le altre cose, di ospitare la città più verde e calda della Repubblica Federale, a quanto pare, Friburgo. Tanto che anche la stampa tedesca parla delle “elezioni dimenticate” in Renania-Palatinato.
Secondo il sondaggio del settimanale Stern, tra i più recenti, il tandem di verdi e socialdemocratici potrebbe raggiungere in Baden Württenberg il 48% e sottrarre così il potere a democristiani e liberali (neri e gialli, secondo i colori simbolo), che raggiungerebbero solo il 43%, con il rischio che il liberali dell’Fdp non riescano nemmeno a raggiungere il 5% necessario per accedere al parlamento. È evidente che se questi pronostici verranno confermati, il governo federale sarà obbligato a prendere atto delle trasformazioni.
Merkel e il suo vice liberale, il ministro degli esteri Guido Westerwelle, hanno messo a dura prova la loro popolarità negli ultimi mesi, e in particolare nelle ultime due settimane. Su due temi infatti si giocano le elezioni di domani a Stoccarda: da una parte la cervellotica “moratoria della proroga del nucleare”, voluta da Merkel con estrema urgenza dopo aver visto le immagini di Fukushima, e che prevede la sospensione per tre mesi delle centrali più vecchie, 7 di 17, che però potrebbero essere 12 di 17, per fare controlli e rivedere la politica energetica che il suo stesso governo ha approvato a settembre. L’altro nodo al pettine è l’astensione della Germania dalla missione in Libia, pianificata secondo molti come manovra elettorale (in Germania è gia molto impopolare la missione in Afghanistan), ma che è vista da fuori come possibile causa di isolamento in politica estera della Germania.
Per quanto riguarda il nucleare, si tratta di un tema molto caldo in Baden Württenberg, uno degli stati con la più alta concentrazione di centrali, e che dipendono maggiormente da questo tipo di energia, e allo stesso tempo uno stato in cui i verdi sono cresciuti rapidamente, strappando ai democristiani i voti della borghesia conservatrice moderna, fino a poter lottare per essere la seconda forza politica (attualmente i sondaggi li danno pari all’Spd). L’uomo del cambiamento, il candidato verde Winfried Kretschman, è, con 62 anni, il più anziano di questa corsa elettorale. Si tratta di un insegnante del ginnasio, un uomo d’altri tempi che cita Hannah Arendt e Pericle nei suoi discorsi di campagna ma che non ne fa passare una al giovane rivale Stephan Mappus, 45, attuale governatore conservatore. Mappus riceve critiche da tutte le parti e ha perso la faccia dopo essere passato da paladino dell’energia nucleare a estremo difensore della sicurezza e della sospensione delle centrali, perché «non ci può essere un “avanti così” dopo gli eventi del Giappone». Kretschman lo accusa di non essere credibile e di aver portato «vergogna sul Baden Württenberg, per aver trascurato l’energia eolica».
A rincarare la dose ci si è messo giovedì il ministro federale di economia, il liberale Rainer Brüderle, che si è lasciato scappare, nel corso di una cena con gli industriali, quello che tutti dicevano da tempo: cioè che “la moratoria della proroga del nucleare” non era niente più che una strategia in vista delle urne. La scomoda verità, servita a cena a un giornalista della Süddeutsche Zeitung che lo ha potuto scrivere il giorno dopo, ha causato ulteriore imbarazzo nel governo.
D’altra parte, anche la missione in Libia, con i numerosi risvolti scomodi che sta causando, non era quello che ci voleva per l’esecutivo di Merkel. Il ministro Westerwelle lo sapeva bene. La Germania si è quindi astenuta dalla votazione della risoluzione Onu, e poi ha ritirato le sue navi e truppe dislocate nel mediterraneo, sotto comando della Nato. «Non fare nulla è comunque meno rischioso che fare qualcosa, per quanto riguarda la politica estera», commentava, con un filo di ironia, il settimanale Die Zeit. Da una settimana Westerwelle è impegnato su tutti i fronti, politici e mediatici, a difendere la sua postura, condannare la missione per i suoi rischi e giustificare che non si è trattata di una strategia elettorale, ma di una scelta pianificata. All’opposizione non sembra che ci sia una strategia a lungo termine, dietro alle ultime decisioni in politica estera.
Le urne diranno domani sera, se Merkel, dopo tanti anni al governo, è caduta in quella che lei stessa aveva definito, in un discorso celebre contro l’allora cancelliere Gerhard Schröder, come “Zickzackpolitik”. Nel 2005 la “politica dello zig zag” e la perdita delle elezioni nello stato della Renania Westfalia furono causa della sfiducia a Schröder, e la sua fine politica. Merkel si prepara in queste ore a una sfida della stessa portata.