E’ la fine per il nucleare? La stampa straniera sembra divisa ma anche quelli che dicono “no” si limitano soprattutto a chiedere una pausa di riflessione. Con alcune curiosità: in Inghilterra è la sinistra a difendere l’atomo, in Francia i socialisti si dicono pronti ad una riduzione del peso del nucleare e in Israele la notizia è bassa, nonostante anche lì il nucleare sia un tema.
Partendo dagli Usa, in un pezzo intitolato «L’industria nucleare Usa davanti a nuove incertezze» il New York Times scrive che «il fragile consenso bipartisan che l’energia nucleare possa offrire una risposta all’energia Americana potrebbe stare evaporando tanto velocemente quanto la fiducia nei danneggiati reattori nucleari giapponesi». Il conservatore Wall Street Journal scrive invece che «il Giappone non si si trova davanti ad un’altra Chernobyl» sottolineando tutte le differenze fra quanto sta accadendo a Fukushima e la centrale ucraina. Il giornale globale per eccellenza, il Financial Times, ricorda nella Lex Column che il terremoto di Kobe del 1995 costò a Tokyo tre punti di Pil aggiungendo che l’enorme debito pubblico nipponico, assieme al fatto che il costo del denaro è già zero, non permette al Paese margini di manovra. Tuttavia un’analisi di David Pilling da Shanghai spiega che «il Paese dipende dal nucleare per un terzo del suo fabbisogno energetico» e che tuttavia «con la fame di risorse che ha la nazione, [il Giappone] ha una paura quasi patologica ma non interamente illogica, in un mondo pieno di pericoli, di essere tagliato fuori dai rifornimenti per lei essenziali. Le possibilità che Tokyo abbandoni il nucleare sono […] infinitamente piccole». Piuttosto Tokyo può «ripensare quale industria nucleare voglia» e «se il Giappone deve avere reattori nucleari, allora deve costruirne di moderni capaci di sopportare terremoti molto peggiori di quelli immaginati decenni fa da pianificatori eccessivamente ottimisti».
A Londra le posizioni fra conservatori e liberal sul nucleare sembrano invertite. Sul fronte destro il Daily Telegraph ricorda che prima di questo incidente l’atomo stava vivendo una rinascita ma che «adesso il suo futuro sembra molto più insicuro». Il giornale vicino ai Tory ricorda che in giro per il mondo ci sono una sessantina di reattori in costruzione. Tuttavia conclude che «se verrà evitato il disastro a Fukushima, l’industria nucleare dirà che l’evento l’ha rafforzata. Ma lo stesso avrà un impatto limitato sul pubblico che è probabile che raggiungerà la conclusione che, come Faust, non avrebbe mai dovuto fare questo patto» col diabolico atomo. Senza provare ad azzardare nessuna difesa del settore. È invece sul fronte dei giornali di sinistra che si spezza una lancia a favore del nucleare. Si legge infatti, in un’analisi sul Guardian, che «questo incidente potrebbe provare nulla ma significare tutto: la paura illogica che il genio del nucleare non possa essere controllata. La perdita sarà nostra. [….] Senza più impianti nucleari non c’è possibilità che questo Paese possa liberarsi dei combustibili fossili».
In Francia, dove il nucleare ha goduto di consenso bipartisan,Le Monde riporta le pressioni dei verdi perché si apra un dibattito sull’uscita dall’atomo riportando il commento del giovane portavoce dei socialisti, Benoît Hamon, secondo il quale «in ogni caso non si può uscire dal nucleare dall’oggi al domani…ma dobbiamo avere da qua a venti o trent’anni un mix energetico fondato sulla sobrietà e le rinnovabili nel quale la parte del nucleare vada a calare». Sul fronte opposto Le Figaro si limita ad osservare che qualsiasi impatto avranno gli eventi giapponesi «sarà planetario» e riporta un laconico commento di Bertrand Barré, consigliere scientifico di Areva, il gruppo transalpino che è numero uno al mondo nel nucleare civile: «In tutti i Paesi che stanno al momento studiando il ritorno al nucleare oggi questa diventa una prospettiva necessariamente più difficile».
Così mentre in Germania la Merkel aggiunge un altro chiodo nella bara dell’atomo, in Spagna El Mundo ricorda il dibattito politico con il ministro dell’Industria Miguel Sebastián che dice che le centrali sono sicure e l’opposizione che si rafforzino le misure di sicurezza, mentre El Pais sottolinea che il dibattito si sta tenendo a livello europeo.
In Israele invece il dibattito riguarda soprattutto le misure di sicurezza anti terremoto (Israel is between one disaster and the next) sia a livello civile che militare. Mentre a destra il Jerusalem Post pubblica sul sito solo un pezzo in terza posizione con un aggiornamento sulla situazione a Tokio e dintorni.