Il “grande giorno” del nucleare italiano inizia con un rinvio alle 20.30. L’esame congiunto delle Commissioni Attività Produttive e Ambiente del decreto legislativo che definisce i criteri per l’avvio delle centrali nucleari in Italia si è bloccato, attorno alle 15, a causa dell’assenza del governo. Le opposizioni hanno lamentato che l’esecutivo non fosse rappresentato da nessuno proprio oggi, mentre la paura nucleare che ha colpito il Giappone si sta allargando a macchia d’olio.
Oggi le dichiarazioni degli amministratori locali si sono susseguite come un rosario: «Non nella nostra regione», «Non ci sono garanzie per la sicurezza». Uno dopo l’altro, Luca Zaia, Gianni Alemanno, Renzo Tondo e Nichi Vendola hanno dato voce alle contrarietà dei territori ad ospitare nuove centrali. Le voci di chi invita a non cedere «all’emotività» (Stefania Prestigiacomo, Paolo Romani, Maurizio Gasparri) non sono bastate a spegnere la sensazione che, anche nella maggioranza di governo, i perplessi crescano di ora in ora.
Sta di fatto che, all’appuntamento chiave del giorno, il governo non c’era. Il ministro dello Sviluppo Economico, Paolo Romani, in mattinata da Valmontone invitava a non assecondare una nuova paura, come ai tempi di Chernobyl, ma in commissione non s’è presentato. Stefania Prestigiacomo ha promesso «ancora maggiore attenzione alla sicurezza e alla sismicità dei siti», ma anche lei ha disertato la Commissione. Il viceministro Saglia ha annunciato la sua disponibilità ad esserci, e al momento in cui scriviamo sarebbe pronta una riconvocazione per le 20.30.
Ma al di là dell’eventuale riconvocazione della Commissione congiunta, resta forte l’impressione che i tempi, già strettissimi, siano diventati in queste condizioni davvero insostenibili. Il 23 marzo, come abbiamo ricordato ieri, scadono le deleghe. È la data ultima entro cui approvare la legge che consenta la ripartenza del programma nucleare in Italia. La maggioranza è spaccata in modo netto tra chi la rappresenta a Roma e chi amministra sul territorio. E anche all’interno della coalizione di governo le voci perplesse si fanno sempre più frequenti. Servirebbe, insomma, una grande e solida volontà politica dai vertici del governo, che al momento tacciono.
A parlare diffusamente, da Londra, è stato invece Fulvio Conti, amministratore delegato di Enel. Anche lui ha sottolineato l’importanza di non agire emotivamente, e ha sottolineato che in Francia non cambieranno i programmi nucleari che vedono Enel coinvolta come partner. Per quanto riguarda il ritorno al nucleare in Italia, Enel ha previsto investimenti per 300-400 milioni «da qui al 2015». Ma se «governo, parlamento, Repubblica italiana decideranno diversamente, come sempre ci adegueremmo alla legge». Un’eventualità che in Enel tengono ben presente.