In Libia “arrivano i nostri” ma è sempre troppo tardi

In Libia “arrivano i nostri" ma è sempre troppo tardi

Alle 23 italiane di oggi il Consiglio di sicurezza dell’Onu si è riunito, e in circa mezz’ora ha votato a favore della no-fly zone con 10 voti a favore e 5 astenuti. Prima della riunione, tuttavia, circolava già una bozza che escludeva qualunque ipotesi di un intervento con truppe di terra. A spingere per il voto sono state Francia e Usa, membri permanenti del Consiglio stesso, chiedendo che venga posto formalmente divieto a Gheddafi di usare l’aviazione per reprimere una rivolta già ampiamente soffocata nel sangue, e proprio con l’aviazione. Gli Stati Uniti hanno peraltro fatto sapere che la “no-fly zone” sarebbe addirittura insufficiente, invece è semplicemente tardiva. Mentre le truppe di Gheddafi marciano verso Bengasi, roccaforte dei ribelli, l’obiettivo franco-americano è quello di provare a intervenire prima che la città cada in mano alle truppe del Colonnello. La predisposizione di una no fly zone infatti consente di monitorare i movimenti in cielo, e di intervenire in caso di violazione. In queste stesse ore anche il Segretario Generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, dichiara la «prontezza ad agire» dell’istituzione da lui guidata, affidando il messaggio a Facebook. Intanto la realtà è scandita dal tempo: gli analisti strategici e militari calcolano i tempi della resistenza residua in una forbice assai stretta: tra le 12 e le 72 ore. Gheddafi ha “quasi” vinto, nessuno ha fatto nulla perché ciò non accadesse, e presto la discussione accademica si sposterà sulla possibilità o meno di chiamare tecnicamente “genocidio” l’orrore commesso dal Colonnello.

Lunedi scorso, per l’opposizione di tedeschi, russi e italiani, al consiglio dei ministri degli esteri del G8 era fallita ancora una volta l’ipotesi di imporre la no-fly zone. Questo ha prodotto una conseguenza evidente: in assenza di pressione militare esterna o anche solo di minaccia a Gheddafi, i ribelli avevano pochi giorni di vita, e il dato non sfuggiva a nessuno. Gli europei si sono lavati la coscienza con l’ipotesi di “nuove sanzioni”, mentre gli egiziani avevano fino a ieri negato ogni supporto logistico e politico alle nuove sanzioni. Anche per questo hanno destato grande curiosità e qualche speranza le affermazioni di Yahya Mahmassani, osservatore per la Lega Araba al Palazzo di Vetro, che ha parlato di due paesi disposti a supportare la no fly zone. Hillary Clinton, a Tunisi il 16 marzo, aveva incontrato in via riservatissimi i vertici della giunta egiziana per spingerli ad autorizzare l’utilizzo delle basi aeree, indispensabili per arrivare a un intervento in Libia. 

Dal punto di vista economico, perdurano sostanzialmente le sanzioni dell’Onu emesse il 27 febbraio, che si rivolgono solo agli individui e non alle società. In sostanza, ci sono alcune persone fisiche nella lista degli “intoccabili”, con i quali non si può trattare o fare affari. Il Consiglio di sicurezza le ha rafforzato, ma non ne ha mutato l’impianto. L’Europa ha preso quegli stessi nomi, ne ha aggiunti alcuni, e poi ha reso più dettagliato la lista di quel che non si può fare, specificando che non si può vendere nessun materiale o tecnologia che possa essere utilizzato per la repressione. In Europa, inoltre, le sanzioni sono allargate anche a cinque persone giuridiche, cioè cinque società: le più importanti sono Lafico, la banca centrale e il fondo sovrano di Tripoli (Lybian Investement Fund). I loro conti sono congelati come i loro investimenti in Europa. I provvedimenti sulle sanzioni, sia quelle dell’Onu che quelle europee, avevano però un grosso “buco”: il petrolio. Non erano infatti sanzionati i rapporti con le società petrolifere ma solo gli investimenti finanziari, e resta quindi aperta la possibilità di avere rapporti economici con la National Oil Company, che da ieri è invece bandita dalla risoluzione Onu. L’oro nero era rimasto fuori dai divieti di contrattazione tra la Libia e il resto del mondo, anche se la produzione libica – in questa fase – è ovviamente molto ridotta. Il problema, a guerra finita, sarà decidere come regolare i rapporti con un’importante produttore – la Libia – in un’epoca di risorse energetiche sempre più scarse, e mentre il nucleare in tutto il mondo subirà il contraccolpo pratico e simbolico di quanto avvenuto in Giappone.

Molto probabilmente tra oggi e domani si troverà un qualche accordo, anche perché il 24 e 25 marzo c’è un Consiglio Europeo che dovrà decidere, dopo che lo stesso provvedimento sarà approvato dal consiglio dei ministri degli esteri e dell’industria europei del giorno prima. Entro il 22, quindi, l’accordo sulle sanzioni dovrà essere chiuso, e non potrà non esserci il petrolio. Le scelte che vanno formandosi in questi giorni disegneranno gli scenari futuri, e gli equilibri sul petrolio libico. Prima, però, gli occhi del mondo guarderanno all’offensiva militare che da stasera non è più un’opzione solo teorica. Per le migliaia di libici trucidati da Gheddafi, tuttavia, è sicuramente troppo tardi.

(prima pubblicazione, 17 marzo alle 19.17)

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