La Libia degli ultimi anni è stata il laboratorio sociale e politico in cui Muammar Gheddafi ha sperimentato un modello di sviluppo dal consumismo travolgente. Per capire le radici della rivoluzione libica bisogna concentrarsi sul fallimento di questo progetto sociale.
Il Colonnello é uno tra i capi di Stato più longevi al mondo. Alla base di questa persistenza, oltre alla “società del terrore” da lui instaurata, sta la capacità camaleontica del Leader di comprendere i cambiamenti d’umore della popolazione e cercare di dar forma a progetti di società. Il Gheddafi anticolonialista finisce con l’embargo introdotto nel 1992. La Libia che sopravvive alle sanzioni é una società sfibrata e appassita. All’inizio del nuovo millennio, il Colonnello comprende che la forza propulsiva del vecchio discorso anti-colonialista sta esaurendosi e che va sostituita con una nuova forma di legittimazione. Gheddafi scommette così sull’allargamento delle capacità di consumo della popolazione, riallinea il suo paese sullo scacchiere internazionale e cavalca la globalizzazione: tra il 2006 e il 2010, la Libia registra la crescita economica più elevata di tutto il Mediterraneo. La società del “dopo embargo” conosce nuove forme di edonismo: il calcio professionistico, prima vietato, viene incoraggiato. Si profila la possibilità (poi abortita) di legalizzare la vendita di alcolici. Le parabole e le connessioni ad internet si moltiplicano. I quartieri storici vengono demoliti.
E Tripoli diventa una metropoli con circa un milione e mezzo di abitanti intasati in città-satellite. Le autorità incentivano forme mascherate di credito al consumo e sostengono lo sviluppo di negozi di vendita al dettaglio di beni voluttuari, specializzati nel commercio di prodotti d’importazione cinese. Secondo le stime dell’Istituto per il Commercio Estero di Tripoli nel 2010 circa dieci ipermercati erano in costruzione in Libia.
Il regime libico è di fronte ad una svolta radicale: nel Libro Verde Gheddafi critica il commercio e uno dei pilastri ideologici della Giamahiria era il superamento del capitalismo. La svolta di Gheddafi non é tuttavia autenticamente capitalista. Il regime scoraggia infatti l’attività imprenditoriale attraverso pratiche monopolistiche e complessi sistemi di licenze da rinnovare su base annuale mentre gli imprenditori più dinamici sono incarcerati.
Più che di una trasformazione capitalista, si tratta quindi di una svolta consumista, volta a creare una società dei consumi senza imprenditori. Gheddafi punta a pilotare l’avvento della società dei consumi per addomesticare la società civile e anestetizzare il malessere politico. Tuttavia, il progetto di una società impolitica e addomesticata fallisce sull’onda della rivoluzione libica. Il regime ha infatti sottovalutato la capacità di resistenza della società civile, temprata clandestinamente durante gli anni della repressione. La “contro-società civile” libica ha dimostrato di possedere gli anticorpi per resistere a qualsiasi anestizzazione. Di più, Gheddafi, rinunciando al discorso anti-colonialista, si è privato di un argomento politico che, seppur indebolito, mobilitava ancora segmenti della società libica.
Il Leader ha inoltre clamorosamente sottostimato gli effetti rivoluzionari delle nuove tecnologie introdotte con la svolta consumista. Paradossalmente, in Libia le comunicazioni telefoniche sono controllate da un sistema capillare di intercettazioni telefoniche, la diffusione della stampa occidentale è vietata salvo rare eccezioni mentre la visione della televisione satellitare è libera e l’ accesso a internet è poco monitorato. Contrariamente alle aspettative, la prima vittima della svolta consumista è stato proprio il Leader Gheddafi. Più che un Leader, un apprendista stregone.