Una piccola antologia di dichiarazioni recenti, rimaste agli atti del Parlamento italiano, sui nostri rapporti con la Libia e con il suo leader Gheddafi.
3 febbraio 2009, in Senato si discute del Trattato di amicizia Italo-libico. La senatrice PD Francesca Maria Marinaro profetizza:
«La firma del Trattato di amicizia con la Libia rappresenterà il coronamento di un lungo percorso politico-diplomatico che ha contribuito a far uscire la Libia dall’isolamento internazionale e a normalizzare le sue relazioni con il mondo occidentale (…) Un segnale positivo in tale direzione è rappresentato dalla elezione di Gheddafi alla presidenza dell’Unione Africana, che lascia sperare di poter ottenere maggiori garanzie dalla Libia in tema di rispetto dei diritti dei migranti e delle norme di diritto internazionale».
Stesso giorno, il senatore Cosimo Gallo, del PDL:
«Il Trattato tra Italia e Libia in corso di ratifica costituisce un passaggio storico significativo e un importante risultato strategico del governo Berlusconi, che consente di chiudere una dolorosa pagina del passato, caratterizzata da rivendicazioni e risentimenti, e di aprire le porte a un futuro di cooperazione e di amicizia».
Quel giorno l’unico a rimanerci male è Giuseppe Ciarrapico:
«È profondamente in disaccordo con i colleghi che, esprimendo rammarico e vergogna per le sofferenze inferte al popolo libico, dimenticano che la colonizzazione italiana è stata vettore di civilizzazione e ha avuto un carattere tanto peculiare che gli Inglesi, a Seconda guerra mondiale conclusa, auspicarono fosse dato all’Italia il mandato sulla Libia».
Il 30 settembre scorso, è la volta del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che in Senato spiega:
«E veniamo a Gheddafi. Abbiamo ereditato una Libia che non ci dava nessun lavoro pubblico, che non ci voleva più dare gas e petrolio, che ha una festa il 30 agosto che si chiama “Giorno della vendetta”. Ora abbiamo una Libia che ci privilegia in tutti i lavori pubblici, che ci fornisce gas e petrolio per i prossimi quarant’anni e, avendo il Presidente italiano avuto il coraggio di chiedere perdono a quel popolo per quello che era stato commesso dai nostri predecessori che avevano voluto sottoporre come colonia un Paese e un popolo, noi siamo oggi in grado di dire di aver risolto la questione coloniale; e non c’è nessun inginocchiamento da parte nostra».
E poi Gheddafi è molto umano con i migranti respinti dall’Italia. Lo dice il senatore della Lega Mario Pittoni, parlando a Palazzo Madama il primo luglio 2009:
«Con la Lega Nord al Governo, l’Italia prova ad affrontare in modo innovativo la questione dei rimpatri di clandestini, diventati complicati e costosi. Inizia l’era dei respingimenti. D’ora in poi, una volta intercettati, i migranti delle carrette del mare dirette verso le nostre coste saranno respinti prima di entrare in acque nazionali e riportati nel luogo di partenza. La nuova strategia è stata inaugurata con lo stop a tre barconi, restituiti subito ai porti della Libia. Risultato: il flusso si è fermato; i migranti non rischiano più la vita in mare».
Il 2 ottobre 2008 Beppe Pisanu addirittura si preoccupa che il Trattato non venga ratificato abbastanza in fretta. Così al Senato:
«Il trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia, firmato il 29 agosto scorso, chiude il doloroso capitolo della colonizzazione italiana, risolve un pesante contenzioso, apre prospettive interessanti per l’economia, per il governo dei flussi migratori, per i rapporti euroafricani. Considerata l’importanza dell’accordo chiede al Governo se ritenga opportuno accelerare la procedura di ratifica».
Il 3 febbraio 2009, il relatore del Trattato in Senato, Lamberto Dini, spiega:
«Al momento attuale, la Libia rappresenta un’entità a pieno titolo inserita e operante sullo scenario europeo e internazionale e, rispetto all’Italia, vi sono relazioni privilegiate. Del resto, il Mediterraneo e i Paesi della sponda Sud che vi si affacciano sono sempre stati una costante priorità della politica estera dei Governi da oltre vent’anni (…) Siamo il primo Paese ex coloniale che riconosce con chiarezza le responsabilità derivanti dal passato. Questo riconoscimento ci permette di guardare al futuro e di porre così basi solide per un rapporto forte tra le due sponde del Mediterraneo, che deve divenire sempre di più non una barriera, ma un ponte di pace fra culture diverse nella prospettiva di un progresso comune».
Meglio di lui solo il relatore alla Camera, Enrico Pianetta. Che il 19 gennaio 2009 sottolinea l’aspetto moderato del regime di Gheddafi:
«Desidero sottolineare, inoltre, che questo Trattato può consentire all’Italia di rafforzare la propria presenza nel mondo arabo, quello equilibrato e moderato, che si oppone alle violenze dell’integralismo islamista, che ha come vittima innanzitutto la stragrande maggioranza silenziosa dei credenti di fede islamica. L’unica strada per rafforzare questa maggioranza è l’autorevolezza dei Governi moderati, è quella del dialogo costruttivo e responsabile, svolto con pazienza e determinazione. Da qui deriva il dialogo, la cooperazione, il rafforzamento delle relazioni bilaterali, realizzati con frequenti missioni dei nostri governi nei Paesi dell’area nord-africana, in particolare con la Libia».
E poi:
«Con questo atto offriamo un raro esempio di conciliazione tra Stati, che altre nazioni d’Europa non sono riusciti a fare: non vi sono altri esempi di trattati di questo tipo tra nazioni ex colonizzatrici e nazioni ex coloniali. Credo si possa dire che si tratta anche di un ponte tra il mondo arabo e l’Africa, di cui l’Italia, in questa situazione, diventa stratega e protagonista: anche questo non mi pare poco».
Il PD, giustamente, non ha nulla da obiettare. Questa la replica di Francesco Tempestini:
«È bene che questi rapporti (Italia-Libia ndr) imbocchino la strada giusta delle relazioni diplomatiche corrette, ed è bene che questo rapporto acquisti sempre più in trasparenza. Ne guadagnerà la distensione nel bacino del Mediterraneo, e ne guadagneranno quindi i rapporti tra l’Italia e i Paesi arabi. In questo senso, vorrei esprimere un’opinione diversa: qui si tratta non di un regime moderato, ma di un regime nazionalista. Il nazionalismo arabo è stato un elemento importante della storia di quel mondo, e la sconfitta del nazionalismo arabo non ha giovato a nessuno. In questo senso vorrei recuperare quelle parole e quel riferimento all’aggettivo “moderato”, per dire che attraverso il rapporto con i regimi nazionalistici si può lavorare per politiche moderate, per politiche di moderazione nel bacino del Mediterraneo».
Stesso giorno, il leghista Claudio D’Amico chiede lungimiranza:
«Ora ci troviamo in una situazione in cui, a livello energetico, gli Stati Uniti si sono aperti verso la Libia (anche i rapporti diplomatici sono migliorati e anche i Paesi americani si stanno muovendo), quindi bisogna lavorare con lungimiranza, per vedere cosa può succedere in futuro e cercare di far sì che i rapporti privilegiati che abbiamo con la Libia sotto l’aspetto energetico rimangano tali e che nessuno ci sorpassi».
D’Amico parla poi dei diritti umani:
«È un avvenimento importante vedere la firma di Gheddafi sotto un Accordo che prevede all’articolo 6, rubricato: “Rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali (…)”. Direi, quindi, a chi afferma che la Libia non rispetterà i diritti umani, che prima di parlare, bisogna vedere i fatti; vedere la firma del leader libico sotto un Documento di questo tipo è un fatto straordinario».
E minimizza gli inviti del Colonnello a distruggere Israele:
«In conclusione, è vero, siamo rimasti colpiti anche noi da alcune dichiarazioni nei confronti d’Israele partite da Tripoli nei giorni scorsi. Ci hanno colpito, ma forse ancora di più per questo noi dobbiamo cercare di dialogare con Gheddafi. Aver legato il leader libico a noi e di conseguenza all’Europa, all’Occidente, con un Trattato di questo tipo rappresenta un punto straordinario».
L’Udc Enzo Carra va oltre.
«Con questo atto offriamo un raro esempio di conciliazione tra Stati, che altre nazioni d’Europa non sono riusciti a fare: non vi sono altri esempi di trattati di questo tipo tra nazioni ex colonizzatrici e nazioni ex coloniali. Credo si possa dire che si tratta anche di un ponte tra il mondo arabo e l’Africa, di cui l’Italia, in questa situazione, diventa stratega e protagonista: anche questo non mi pare poco».