Nel giro di una settimana sono cambiate molte cose in Europa. Tutte hanno al centro la Francia, ruotano intorno alla questione di un nuovo protagonismo di Parigi e ci chiamano direttamente in causa, anche se non riguardano solo noi italiani. In almeno due casi non siamo solo noi ad uscire ridimensionati. Al nostro fianco, é la Germania di Angela Merkel ad uscire sconfitta.
Cominciamo da quella che ha fatto meno scalpore nell’opinione pubblica, che ci riguarda esclusivamente e che, giustamente, è stato uno dei pilastri informativi nel palinsesto de Linkiesta di questi ultimi giorni: il caso Parmalat.
Non è un caso isolato come dimostrano i dati qui rielaborati. L’azienda Francia in Italia va forte, conquista fette di mercato, incorpora e rimette in corsa marchi o settori di produzione dichiarati in crisi. Risultato: il problema non è la crisi dei settori, è la dichiarazione di incapacità o di non volontà di ritirare su pezzi e settori strutturali dell’azienda Italia da parte del mondo economico, produttivo e finanziario italiano. Per certi aspetti anche l’indicatore di una crisi delle grandi famiglie industriali, ovvero del modello industriale italiano. Di contro, in Francia, si ha fiducia nello sviluppo dei settori industriali, si investe sulla ricerca e lo sviluppo tecnologico, si rischia per conquistare quote di mercato che pagheranno nel medio periodo. Non è solo qui, però, che si misura l’egemonia ella Francia. Ci sono almeno altri due ambiti in cui condividiamo la condizione di perifericità con la Germania: la questione energetica e la questione libica.
Questione nucleare in Italia significa non solo inesistenza di centrali, ma soprattutto inesistenza di investimenti verso la ricerca. Chi ci provò per l’ultima volta fu Umberto Colombo quando dirigeva negli anni ’80 l’ENEA (un uomo di scienza che non era insensibile al nucleare). Ma poi, complice una cultura antiscientifica che in Italia data la sua egemonia culturale esattamente da un secolo, il discorso si chiuse. Noi non abbiamo solo avuto il trauma Chernobyl. Noi non siamo stati in grado di reagire a Chernobyl perché da tempo la scienza e la ricerca applicata erano un tabù in Italia, comunque rappresentavano da tempo un settore marginale e trascurabile degli investimenti. Così, in questi giorni, ci siamo trovati di fronte al progetto politico di riportare il nucleare in Italia travolto dalle emozioni negative che arrivavano dal Giappone. La Francia, un vicino che sul nucleare e sulla fiducia nella scienza non ha mai smesso di investire, ha serenamente confermato i suoi programmi in essere, dimostrando una volta di più che della partnership tra il colosso transalpino Edf e la nostra Enel noi avevamo disperatamente bisogno. Loro no.
Il terzo ambito riguarda la questione libica. La decisione di ricondurre il comando delle operazioni in ambito Nato è stata salutata dal nostro governo come una vittoria della proposta italiana. Modo bizzarro di descrivere la realtà laddove il tavolo di decisione vedeva seduti: Stati Uniti, Francia, Regno Unito. Eppure, a questo processo di “codecisione” si arriva dopo che il fronte bellico è stato aperto su chiaro impulso francese. Il cappello della Nato è una scelta di compromesso mal digerita dagli alleati, e obbligata da un governo francese che, appena deliberata in sede Onu la no-fly-zone, annunciava di essere pronto a mandare la sua aviazione in poche ore.
L’avverarsi di un disegno francese fa il paio con l’assenza di un’idea di sviluppo italiana che sia riconoscibile e forte. Che cosa abbiamo noi da offrire per davvero? Il rapporto personale di Berlusconi con Gheddafi? Una strategia del Mediterraneo che si sorregge su che cosa? E soprattutto rappresentiamo una forza di discussione sul futuro dell’Europa? Abbiamo un’idea e un progetto che pensa sviluppo nel Mediterraneo? E’ lecito dubitarne, almeno osservando un dibattito pubblico che raramente va oltre il tema del respingimento. E’ proprio per questo che siamo ancora attoniti a chiederci come sia stato possibile il crollo politico di regimi forti o che tali ci apparivano: la mancanza di osservazione e strategia non ci ha consentito di conoscere le tendenze profonde di società ed economie in evoluzione, che a noi pure erano assai vicine.
Non sfugge a nessuno che anche Sarkozy, un po’ come tutti, muove in politica estera pensando soprattutto a quella interna. Ha il problema di recuperare su un elettorato che a destra per ora sembra, almeno nelle opinioni di voto, preferirgli Marine Le Pen. Anche lì con enorme anticipo è iniziata una campagna elettorale che finirà nel’aprile del 2012, tra oltre un anno. Anche questo spiega il protagonismo esorbitante della Francia. E spiega, però perché non è un fuoco di paglia.
*storico