«Una nuova crisi finanziaria è possibile». Le parole sono quelle di Mervyn King, governatore della Bank of England. In un’intervista al Telegraph, King ha lanciato pesanti attacchi nei confronti dei banchieri britannici, colpevoli di non aver mutato alcun atteggiamento dopo il crac di Lehman Brothers. E per il numero uno di Threadneedle Street i rischi di un nuovo terremoto sono «talmente elevati che potrebbe anche arrivare domani».
Mervyn King non ha mai usato troppi giri di parole per descrivere gli squilibri finanziari. Dopo aver duramente criticato l’operato di Royal bank of Scotland e Lloyds, due fra le banche nazionalizzate dal Governo inglese, ora rilancia. «Non hanno imparato nulla da questa crisi, dato che i bonus continuano a essere staccati, gli affari si fanno sempre sulle spalle dei risparmiatori e la leva finanziaria è tornata ai livelli pre crisi». Nel mirino del banchiere centrale ci sono soprattutto «gli atteggiamenti dei bankers che, dopo due anni di remissione, sono tornati a spendere cifre folli per feste e altri eventi». Questo, secondo King, è il campanello d’allarme che nulla è stato compiuto per cambiare la finanza globale. Questo nonostante G-20 e Financial stability board, presieduto dal governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, abbiano più volte tentato di portare una ventata d’aria nuova nel panorama finanziario internazionale.
Non ha torto l’inquilino di Threadneedle Street quando parla di «nuovi rischi». Lui conosce assai bene la City e i suoi nuovi prodotti finanziari, come i Cocos. Anche King ha tentato di osteggiare la nascita dei contigent convertible capital bond, obbligazioni trasformabili in azioni se il capitale di base dettato dagli accordi di Basilea III scende sotto i livelli di vigilanza. I Cocos sono definitivi da gran parte degli istituti di credito come la frontiera della nuova finanza, ma c’è qualcuno che ha sollevato la questione dei rischi intrisechi legati a questi nuovi prodotti che, secondo Standard & Poor’s, saranno lanciati per un ammontare di mille miliardi di dollari nei prossimi dieci anni.
A vigilare su questi e altri strumenti ci sarà dal 2012 proprio il governatore della Bank of England. Nell’ultimo anno il Governo britannico ha deciso di smantellare la Financial services authority per incorparla in Threadneedle Street. E sarà proprio King a essere il nume tutelare della finanza inglese, tramite la Independent Banking Commission. «Sarò inflessibile, non possiamo permetterci di avere banche Too-big-to-fail (troppo grandi per fallire, ndr), né tantomeno un sistema che si regge solo sulle spalle dello Stato interventista», ha detto King. Il suo timore più grande è quello che il Regno Unito possa ripiombare nella recessione a causa della finanza.
La differenza, spiega King, fra questa crisi e la prossima è data dall’inflazione. Il banchiere centrale ha ammesso che esiste un problema di innalzamento dei prezzi dovuto in parte agli aumenti degli stessi nel segmento delle materie prime, ma non solo. L’incredibile mole di liquidità iniettata nel sistema bancario britannico dal 2007 a oggi non è ancora stata smaltita e, anzi, la Bank of England continua ad aumentarla periodicamente per evitare shock d’insolvenza. Ne è testimonianza un rapporto compiuto da Barclays nello scorso febbraio, in cui si evidenzia come «la massa monetaria M4 (cioè la maggior parte del denaro presente nel sistema, ndr) è aumentata dello 0,8% rispetto al mese precedente». Erano sette mesi che questo non accadeva. E sono sempre le banche a essere le entità più voraci di denaro a basso costo.
L’inflazione attesa, secondo King, è intorno al 4,5% entro la fine dell’anno. Con tali livelli e con una generale carenza di liquidità sistemica, i rischi di una congiuntura particolarmente ostica aumentano di molto. Del resto, lo scenario più probabile per il Regno Unito è, secondo Barclays, quello della stagflazione, cioè il mix fra l’aumento generale dei prezzi e la flessione del Prodotto interno lordo. Il governatore non nasconde che «la stagflazione è uno dei pericoli più elevati per una nazione, dato che le armi di politica monetaria a disposizione si riducono assai». Un pericolo che per il Regno unito è sempre più concreto.