Solo dall’alto, dalla cima della torre campanaria, sembra una piazza. Dal basso resta un incrocio tra due vie, Regina Elena e Conte Broglia. Uno slargo dove l’asfalto lascia spazio al battuto, all’estremità del borgo vecchio di Casalborgone, duemila abitanti sulla collina torinese. Un posto sonnacchioso, almeno fino a quando, proprio su quella “piazza”, si è scatenato un putiferio, tra fervori monarchici e appelli al presidente Giorgio Napolitano, accuse di «aver taroccato» il referendum del 1946 e riscosse repubblicane. Tutto, e non a caso, nei giorni che hanno preceduto questo 17 marzo di festa.
Il 14 febbraio l’amministrazione comunale, guidata da Amos Giardino, decide – per festeggiare l’Unità d’Italia – di intitolare quell’incrocio di vie al re di maggio, di farne insomma «piazza Umberto II di Savoia Re d’Italia». La proposta arriva da Carlalberto Ardizzone, grandi baffi e solide passioni monarchiche, presidente dell’associazione ‘l Leu (dal nome del centro storico del paese), che nella motivazione – inviata lo scorso settembre al sindaco – sottolineava: «Il referendum Monarchia/Repubblica del 2 giugno 1946, come ormai tutti sanno, fu taroccato. Ciò nonostante, il re Umberto II accettò il falso risultato sacrificando non solo la sua persona ma anche la dinastia per risparmiare al suo popolo sangue e dolori». Aggiungendo: «All’aeroporto di Ciampino il Comandante Generale dei Reali Carabinieri disse: “Maestà, i Carabinieri sono ai Suoi ordini” Chiaro era il significato della frase, nonostante ciò preferì ignorare la frase e sacrificarsi».
In poco tempo, la notizia fa il giro del borgo vecchio, tra via Palestro e via Statuto, corre verso valle, oltre corso Vittorio Emanuele II, e presto compare sulle prime pagine dei giornali locali: «Così Giardino riscrive la storia», titola La Nuova Periferia. Gianna Pentenero, Pd, già assessore regionale con Mercedes Bresso e sindaco per due mandati di Casalborgone, ora consigliere d’opposizione, con il collega Fabrizio Conrado, ha parole dure: «Sono affermazioni gravissime, significa non credere ai fondamenti della nostra Repubblica». L’opposizione prende carta e penna e scrive a Napolitano: «L’intitolazione è una sorta di “risarcimento” alla memoria del re disarcionato da un referendum definito “tarocco” che sostituì alla monarchia una evidentemente discutibile forma di repubblica. Riteniamo che tale atto di silenzioso “revisionismo storico” sia una inaccettabile offesa alla Repubblica Italiana e all’Arma dei Carabinieri, gettando una luce sinistra sui festeggiamenti dei nostri 150 anni di unità nazionale. Ci appelliamo a Lei affinché venga resa giustizia alla storia del nostro Stato».
E il Sindaco che fa? Amos Giardino non ha alcuna intenzione di dimettersi come qualcuno sollecita. «Non capisco il polverone. La piazza non la vogliamo intitolare al referendum, ma vogliamo rendere omaggio a chi ha fatto parte della storia d’Italia, a una personalità con diversi meriti. Nessuna intenzione di riaprire una vecchia contesa, di riscrivere la storia, solo quella di cancellare un veto». Vicino al centrodestra, con iniziali entusiasmi per Fli («Ma nella mia lista civica c’erano candidati di estrema sinistra e di estrema destra»), Giardino ci tiene a precisare: «Non sono un monarchico. Ho fatto anche il paracadutista, genio guastatori della Folgore, e ho giurato con convinzione sulla Repubblica. Quella del “taroccamento”, poi, è solo un’espressione popolare». Non la condivide: «La lettera è stata allegata alla delibera solo perché lo prevede la norma». Ma il risultato del referendum lo considera legittimo? Pausa, non si sbilancia: «Non mi pongo il problema, prendo atto delle decisioni della suprema corte di Cassazione». Poi, con il cursore del mouse clicca veloce su wikipedia: «Vede, il sito spiega bene come si sono svolti i fatti. Il quorum non era regolare, molti prigionieri di guerra si trovavano ancora all’estero e non potevano votare…». Sulla pagina dell’enciclopedia libera campeggia, però, un banner: «Voce squilibrata, come del resto reso evidente dal fatto che le fonti citate in nota sono in larghissima parte “ferventi monarchici”». Pazienza. «Non importa. Che sia rimasta un’ombra è un fatto storico. Preferisco parlare di Umberto II, ha tanti meriti sconosciuti: non ci fece sprofondare nella guerra civile, istituì lo statuto autonomo della regione Sicilia, donò la Sacra Sindone e riuscì a correggere gli errori del padre. E, comunque, oltre al Re, per i 150 anni dell’Unità, vogliamo intitolare una via a Carlo Caramellino, fondatore della Società operaia di mutuo soccorso locale».
Sulla piazza deciderà la prefettura di Torino, intanto arrivano messaggi di plauso dall’Unione monarchica italiana alla «lodevole iniziativa» del Sindaco. L’amministrazione spera di inaugurarla a giugno. In uno dei numeri civici che dovrà cambiare destinazione ha vissuto fino all’ultimo Eligio Battù, il partigiano “Primo” di Giustizia e libertà, morto nel 2008. Ora ci abitano sua figlia e il marito, Ermanno Vitale, allievo di Norberto Bobbio e docente di Filosofia della politica all’Università della Valle D’Aosta: «Forse non si rendono conto dell’irresponsabilità di questa delibera. Se la Repubblica è nata da un imbroglio, tutte le sue istituzioni centrali e periferiche soffrono di questo vizio d’origine, compreso il Comune di Casalborgone. Siano almeno coerenti, si dimettano. O, forse, è tutto frutto di un calcolo politico, di un sindaco in cerca di visibilità». E di Umberto II? Se il Pd non entra nel merito, lui non condivide la scelta: «Non vedo ragioni per intitolare una via a un personaggio con una biografia politica all’insegna della “paura della propria ombra”».
Sessantacinque anni dopo, a Casalborgone il 1946 non sembra un ricordo così sfumato. Il paese è stato da poco tappezzato di manifesti in cui il Comune invita a imbandierare i balconi. E sotto l’appello le bandiere sono due (unite da fili verdi, rossi e bianchi). Accanto al tricolore repubblicano è stato infatti orgogliosamente stampato anche quello sabaudo…