Quanto sono sicure le centrali europee? E in caso di terremoto, attacco terroristico e incidenti come si comporterebbero? Sono queste le domande che si sono posti a Bruxelles e il commissario europeo all’energia Guenther Öettinger ha deciso di sottoporre a «stress test» tutte le 143 centrali nucleari in funzione nei 27 paesi. Con la possibilità di estendere i test anche ai paesi confinanti, perché nelle terre di confine, come nel caso di Trieste, la centrale slovena di Krsko (colpita da incidente nel giugno del 2008) è a solo 100 Km. Ma come funzionano gli stress test?
Sono prove di resistenza a diversi tipi di shock: da terremoti, tsunami, attacchi terroristici, black-out elettrici, attività operative, età delle strutture e degli impianti con parametri definiti dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea) che periodicamente invia i propri ispettori per controllare lo stato di salute delle centrali progettate per durare 50-60 anni.
«Si spegne il reattore e viene sottoposto a radiografia il nocciolo, verificando che in condizioni di sforzo non ci siano dei cedimenti», spiega il fisico Renato Valota, autore della versione italiana del rapporto Rasmussen, un’analisi dell’autorità nucleare statunitense delle possibilità di incidente nei reattori del tipo usato a Fukushima.
I primi test con un giro di vite sui controlli sono arrivati all’indomani dell’incidente nucleare di Chernobyl nel 1986 e grazie alla creazione di 2 fondi dalla Bers (Banca Europea per la Ricostruzione e lo sviluppo) per la sicurezza nucleare.
Si tratta del Nuclear Safety Account e del Chernobyl Shelter Fund. Il primo è stato creato nel 1993 per realizzare interventi urgenti per la sicurezza delle centrali nucleari nei Paesi dell’Europa Centro-Orientale e nell’ex Unione Sovietica, mentre il secondo è stato creato nel 1997 per assistere l’Ucraina nella realizzazione di una struttura di contenimento delle radiazioni del reattore di Chernobyl.
Con le risorse stanziate 17 anni prima è stata chiusa il 1 gennaio 2010 la centrale lituana di Ignalina mentre le centrali di Bohunice (Slovacchia) e Kozloduy (Bulgaria) sono ancora operative nonostante siano in funzione dagli anni ’70. Nel periodo 1991-1999 l’Ue ha impegnato complessivamente 913 milioni di euro per partecipare alle iniziative internazionali destinate a migliorare le condizioni della sicurezza nucleare. Inoltre Bruxelles ha contribuito a potenziare il livello di sicurezza negli impianti di Mohovce in Slovacchia, Khmelnitsky e Rovno in Ucraina e Kalinin in Russia.
Ora dopo anni di silenzio si torna a parlare di stress test nucleari su spinta dell’opinione pubblica mondiale colpita dalle immagini della centrale di Fukushima e della paura delle radiazioni. «Con questa decisione – continua Valota – si rassicurano i verdi che volevano la chiusura delle centrali più vecchie, ma si propiziano anche affari da miliardi di euro per la sostituzione con tecnologie più nuove». In primis per la multinazionale francese Areva, impegnata nella progettazione e vendita del nuovo generatore Epr, la tecnologia scelta anche dal governo italiano per il ritorno alla produzione elettrica dall’atomo.
E mentre la spinta emotiva si allarga bisognerà aspettare i criteri fissati dall’Aiea e comunque attendere la seconda metà dell’anno perché prima, ha precisato il commissario Öttinger, «bisognerà stabilire secondo quali criteri operare per valutare tutti i rischi. Faremo tutto il necessario per la sicurezza degli impianti». Intanto, anche il governo britannico ha ordinato stress test sulle nove centrali nucleari del Regno Unito, in una mossa che potrebbe preludere a una pausa nella costruzione di impianti di nuova generazione. Prudenza anche in Svizzera e Austria, mentre in Germania la cancelliera Angela Merkel ha deciso la chiusura, per 3 mesi, di 7 reattori.