Sulla rete Scaroni scopre (in ritardo) la dottrina-Ortis

Sulla rete Scaroni scopre (in ritardo) la dottrina-Ortis

«Se trovassimo un compratore gradito al Governo italiano che ce la pagasse più del valore di mercato, allora potremmo considerare di cedere Snam Rete Gas». Paolo Scaroni ha parlato così, oggi, ed è una prima assoluta. Alessandro Ortis lo aveva chiesto più volte. Da capo dell’Authority non proprio amato in casa Eni, che della rete controlla al 50,03%, ha insistito per anni sulla necessita di uno scorporo di Snam Rete Gas da Eni, suggerendo di assicurare la rete di Snam al controllo di Cassa Depositi e Prestiti, che di Eni detiene oggi il 26 per cento. Le reazioni di Eni e della maggioranza della scena politica italiana, di fronte a ipotesi di questo tipo, erano sempre state fortemente negative, tanto che gli aperti dissapori tra Eni e il garante Ortis, che ora ha da poco terminato il suo mandato, erano diventate patrimonio di scienza comune. Quando Claudio Scajola era ministro dello sviluppo economico, e quindi titolare del settore energetico, capitava spesso che intervenisse lui, in prima persona, per “correggere” la posizioni del garante. Oggi Scaroni ha rivendicato la scelta di non vendere finora, per il bene degli azionisti (cioè anzitutto del governo). Però, certo, il cambio di rotta è notevole.

Infatti, anche di fronte alle insistenti richieste o prese di posizione di alcuni azionisti, come il fondo Vinke di Erich Knight, che detiene una partecipazione dell’1% circa in Eni, il Cane a Sei Zampe e l’establishment politico italiano si son sempre mostrati assai freddi. Fino a oggi quando, sorprendendo tutti, Paolo Scaroni ha aperto a un’ipotesi di grande impatto. Nel corso della presentazione del piano strategico 2011-2014, infatti, Scaroni ha spiegato che qualora si trovasse «l’opportunità di creare un valore aggiunto rispetto al prezzo di mercato e un acquirente gradito al Governo italiano» Eni potrebbe valutare l’ipotesi di cedere la propria quota in Snam Rete Gas (pari al 50,1%). Scaroni ha inoltre specificato: «Se avessimo venduto Snam, avremmo fatto un errore nell’interesse dei nostri azionisti. Oggi abbiamo le mani libere e possiamo scegliere cosa fare».

Insomma, carpe diem. Sarà contento Knight che, apparentemente, come azionista, non doveva essere mai stato troppo convinto che la “linea Scaroni” tutelasse appieno i suoi interessi. Il pressing di Knight comincia il 2 settembre del 2009, quando Knight Vinke, che si occupa di investire nel comparto energetico per conto di alcuni fondi pensione americani, prendendo spunto da un articolo sul Financial Times che parla dei suoi investimenti in Italia (tra cui Enel e, appunto, Snam RG), diffonde un comunicato in cui si esprimono forti dubbi sulla struttura industriale di Eni. «Tenere sotto lo stesso tetto i due business (attività estrattiva e trasporto del gas) è limitante dal punto di vista finanziario». Mr. Knight si prende un mese di tempo per mettersi di fronte al pallottoliere, e il 30 settembre diffonde un altro comunicato, in cui quantifica la sottovalutazione del titolo: 50 miliardi di euro. Se divisi, i due titoli di Eni e Snam RG varrebbero insieme più di 30 euro.

Scaroni risponde ringraziando per la «natura costruttiva» del dialogo intrapreso, ma al patron del fondo newyorkese non basta. Knight si mette di nuovo alla scrivania, recapitando un altro scritto – il 4 novembre 2009 (poi tradotto in italiano e pubblicato sul Ft il 13 gennaio 2010) – oltre che a Scaroni, anche a Tremonti. Al quale l’americano propone un piano B per non perdere il controllo di Eni nello scorporo: uno spin off del 70% di Snam verso azionisti privati, trasformando il gruppo in una holding nelle mani dello Stato italiano. Una proposta nuovamente d’attualità da quando sono tornate sul tavolo di via XX Settembre le ipotesi di creare una «società delle reti» con Terna, che potrebbe acquisire il controllo di Snam RG pur rimanendo in mano pubblica. L’altra strada da percorrere, invece, sarebbe la cessione alla Cassa depositi e prestiti. 

Lo scambio epistolare tra New York e San Donato Milanese procede fitto ma senza punti di svolta sostanziali fino al 25 gennaio 2010, quando in un’intervista a Repubblica l’a.d. del Cane a sei zampe ammette che: «in quest’area non ci sono dogmi,ma ogni ragionamento è rinviato a dopo la conclusione della partita con Bruxelles». Ovvero, l’azione intrapresa dall’Authority europea nel marzo 2009 contro Eni, accusata di comportamento anticoncorrenziale nel mercato comunitario del gas, finita lo scorso settembre con «la cessione delle sue partecipazioni nelle imprese che detengono e provvedono al funzionamento e alla gestione della capacità di trasporto dei gasdotti transnazionali TAG, TENP e Transitgas per trasportare il gas verso l’Italia settentrionale dalla Russia (TAG) e dall’Europa del nord (il sistema TENP/Transitgas)». Una mezza apertura particolarmente apprezzata dal fondo statunitense. 

L’ultimo episodio della telenovela risale allo scorso luglio, quando sul Financial Times, che ha sempre spalleggiato la tesi dei fondi pensione statunitensi, pubblica un’intervento in cui Eric Knight si spinge addirittura a sostenere che, grazie allo spezzatino, lo Stato italiano si sarebbe potuto liberare di 60 miliardi (a tanto ammonta la sottovalutazione del gruppo Eni) di debito pubblico.
Un’esagerazione, forse, ma il problema Snam RG scotta, sopratutto alla luce della diatriba geopolitica tra South Stream e Nabucco.Oggi, è la prima volta che Scaroni si espone così. Segno che nel prossimo piano industriale la voce Snam RG potrebbe non comparire più.  Proprio mentre la partita per il rinnovo dei vertici Eni entra nel vivo. 

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