All’alba il Financial Times gli ha scritto il necrologio

All’alba il Financial Times gli ha scritto il necrologio

Chi di Financial Times ferisce, di Financial Times perisce. Le dimissioni di Cesare Geronzi dal vertice di Generali si possono leggere anche con gli occhi del quotidiano della City. A febbraio il banchiere aveva parlato, in una lunga intervista, degli investimenti del Leone di Trieste. «Banche italiane, Ponte sullo Stretto, America latina»: questi per Geronzi i target delle Generali, in netto contrasto con quanto detto nell’Investor day di novembre. E oggi, nel giorno della grande cacciata, la testata di Lionel Barber aveva già sancito a chiare lettere quale sarebbe stato il futuro di Geronzi: «Generali merita un destino migliore».

In principio fu l’intervista di febbraio. A Trieste, e non solo, la considerarono «delirante». Le parole del banchiere romano sancirono una volta per tutte lo strappo con l’altra anima delle Generali. «Un presidente che parla in questo modo non si è mai visto», tuonò il giornale londinese. Aveva ragione. Un conto è presiedere, un conto è amministrare. L’amministratore delegato Giovanni Perissonotto iniziò una feroce guerra intestina per contrastare l’atteggiamento da salotto romano tipico di Geronzi. A ruota seguirono gli altri attacchi, compreso quello di Diego Della Valle, che consigliò all’ex capo di Mediobanca di cominciare a pensare alla pensione. Seguirono le dimissioni di Leonardo Del Vecchio e Ana Botin dal cda. Era facile presagire cosa sarebbe successo oggi.

La sfiducia del board è arrivata ma, prima di quella ufficiale, è giunta quella informale del FT. «La sua moneta è il potere, piuttosto che l’esperienza operativa e strategica», scrive il quotidiano nella Lex column di oggi. Peccato che però per gestire gli asset e la potenza di fuoco del Leone di Trieste non basti solamente frequentare i salotti buoni. Specie in un momento congiunturalmente complicato come quello odierno.

In realtà, ci sono diversi vincitori e vinti in quel di Trieste: Mediobanca e Vincent Bolloré. La prima, attualmente intorno al 13,5% delle Generali, ha spesso ostacolato il lavoro delle Generali e ora si ritrova con un uomo in meno da gestire, Geronzi. Resta da vedere in che modo Piazzetta Cuccia vorrà giocare la sua partita, dato che il suo ad Nagel è stato tra i firmatari della mozione di sfiducia e Mediobanca ha spinto per la risoluzione dell’affaire Geronzi. Il Financial Times fa però notare che la partecipazione forte della banca d’investimento nel Leone sta danneggiando entrambi. Possibile quindi che si decida per una riduzione fino al 10%, in modo da lasciar maggiori margini operativi a entrambi ed evitare lotte interne. E poi c’è Bolloré. I suoi conflitti d’interesse, citati più volte dal Financial Times, sono stati considerati da quest’ultimo «da cartellino rosso». Ma sulla sconfitta del finanziere francese ha inciso anche la decisione di astenersi dal voto del bilancio per i dubbi sull’operazione Ppf, siglata in prima persona da Perissinotto e dal ceco Petr Kellner. Come prevedibile, Bolloré si è posizionato dalla parte di Geronzi, perdendo. Anche in questo caso, sarà solo il tempo a sancire le dinamiche della cacciata del francese, ormai data per certa anche dalla City.

Dal punto di vista gestionale, oggi Generali somiglia più a una Caporetto che alla terza compagnia assicurativa europea. Geronzi ha tentato di romanizzare Trieste e ha creato spaccature mai viste in un cda. La frattura fra il banchiere e Perissinotto era così insanabile che, per il bene della società, si è deciso di proporre la sfiducia. La finanza che conta, per voce del Financial Times, gliel’aveva già data. E così, l’ascesa e il declino di Geronzi alle Generali si è compiuta.