BERLINO – Quando il primo maggio si introdurrà in Germania la libertà di circolazione per i lavoratori di otto stati europei dell’est, poco o niente cambierà per gli operai e muratori polacchi che gia da tempo lavorano qui. Minime saranno anche le ripercussioni sul mercato del lavoro tedesco, nel bene e nel male: la maggior parte degli istituti di indagine economica dicono che arriveranno al massimo tra i 100 e i 150.000 lavoratori annuali, una cifra contenuta, che dovrebbe tranquillizzare quanti temevano per il proprio posto; allo stesso tempo però la nuova immigrazione non sarà sufficiente, quantitativamente e qualitativamente, per soddisfare le esigenze attuali del paese.
I tedeschi hanno buone ragioni per stare tranquilli: stando a quanto dicono numerosi studi economici, diversamente da sette anni, fa il mercato del lavoro in Germania non è più segnato dalla disoccupazione, ma al contrario dal fenomeno della mancanza di personale specializzato. Allo stesso tempo, per quanto riguarda i salari, per tranquillizzare la popolazione, il Governo ha approvato negli scorsi mesi il salario minimo per i lavori interinali in certi settori come quello della cura degli anziani, in modo da evitare il “dumping”.
Sette anni fa, quando Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Polonia, Slovenia e repubbliche Baltiche entrarono nell’Unione Europea, in Germania, la paura che un’ondata di immigrazione in cerca di lavoro arrivasse in modo disordinato, portò a stabilire un termine di transizione di sette anni, in cui sono state mantenute le restrizioni nei confronti della mano d’opera proveniente dall’est. Il termine scade il primo maggio in occasione della prossima festa dei lavoratori. Rimangono fuori solo Romania e Bulgaria, che dovranno attendere fino al 2014. Il Governo è ottimista, Ursula Von der Leyen, ministra del Lavoro, assicura che «ci aspettiamo che arrivino piuttosto persone giovani e con una formazione».
Nonostante le limitazioni però, in questi anni i lavoratori dall’est sono arrivati, e non precisamente quelli “formati”. In totale l’agenzia federale del lavoro ha distribuito circa 200.000 permessi a cittadini dell’est. Solo nel 2010, circa 300.000 sono giunti come lavoratori stagionali, e 13.000 nel settore dell’edilizia. Il sommerso è però grande, si stima che al meno 100.000 impiegate domestiche dell’est senza permesso lavorino in casa dei tedeschi.
Vista la situazione, c’è chi pensa che questi sette anni siano stati tempo perso: «Con la loro riluttanza, per paura dell’arrivo di ondate sul mercato del lavoro, i politici tedeschi non hanno fatto al paese nessun favore. Personale altamente qualificato, un bene richiesto con urgenza in Germania in molti settori, ha preferito in questi anni dirigersi verso l’Inghilterra, l’Irlanda o la Svezia, che aprirono molto prima i propri mercati», è questo il punto di vista di Klaus Zimmermann, attuale direttore dell’Istituto per gli Studi del Lavoro (Iza) e ex direttore dell’Istituto Economico Tedesco (Diw).
«Nel frattempo», ha ricordato Zimmermann, «lavoratori più anziani e meno esperti sono comunque arrivati in Germania attraverso ad altre vie. La politica della ‘porta chiusa’ del 2004 ha quindi causato un doppio effetto negativo». Questi sette anni, ha poi aggiunto, «sono stati una perdita di tempo».
Zimmermann si è reso famoso l’anno scorso a settembre quando, ancora direttore del Diw, ha pubblicato uno studio che ha decretato l’inizio di uno stato d’emergenza. «Dal 2015 perderemo ogni anno 250.000 lavoratori. Per questa data mancheranno nel mercato gia tre milioni di lavoratori, in particolare forze qualificate. Allo stesso tempo i lavoratori presenti saranno sempre più anziani e aumenterà il numero dei non qualificati», spiegò allora Zimmermann. «Questo significa che bisognerà incrementare l’età lavorativa fino ai 70 anni», ha ribadito recentemente, «e nemmeno questo sarà sufficiente: abbiamo bisogno di mano d’opera proveniente dall’estero, come minimo 500.000 immigrati all’anno, per assicurare la nostra economia». In particolare c’è bisogno di medici, ingegneri, metalmeccanici qualificati, infermieri, e personale per il settore edilizio oltre che a personale per la cura degli anziani. Secondo l’esperto è necessario che la Germania modifichi urgentemente la sua legge di immigrazione (che scoraggia l’arrivo di personale specializzato da fuori dall’Europa) e che introduca un sistema a punti, simile a quello canadese o australiano in cui la formazione risulta decisiva.
Si aggiunge che da due anni a questa parte, il paese perde popolazione. Gli ultimi dati ufficiali sono del 2009 (ma studi parziali indicano che nel 2010 la situazione è peggiorata): anno in cui 734.000 persone hanno lasciato il paese in modo definitivo (cioè per lavoro, affetti etc.), e “solo” 721.000 sono arrivati per restare: è scomparsa ciè qualcosa come una cittadina di 13.000 abitanti. Gli esperti forniscono interpretazioni diverse di questi dati, alcuni dicono che è una «normalizzazione» dopo l’euforia degli anni ’90. Altri dicono che la Germania non è sufficientemente attrattiva per i cervelli stranieri, e nemmeno per quelli tedeschi. Insomma, anche qui si parla di “cervelli in fuga”. Una nuova legge che facilita il riconoscimento dei titoli di studio ottenuti fuori dalla Ue, è stata, il mese scorso, un primo passo per arginare il problema.
Secondo molti, come Zimmermann, non è però sufficiente, bisogna puntare sull’immigrazione con leggi mirate per non farsi scappare altre occasioni: «Visto la crescente scarsezza di personale qualificato è di importanza fondamentale che i politici tedeschi e i rappresentanti del mondo dell’economia sviluppino una strategia comune per far fruttare la nuova libertà di circolazione (dei lavoratori dell’est, ndr). L’apertura verso est può avere un impatto positivo a lungo termine, se porta a un guadagno nella produttività e un incremento nei salari e nel benessere».