“Germania, tappati il naso e resta in Europa”

“Germania, tappati il naso e resta in Europa”

«Non mi aspetto che, nel lungo termine, l’Unione economica e monetaria europea (Uem) possa continuare ad esistere nel suo stato attuale». E ancora: «Per la Germania sarebbe meglio che Grecia, Irlanda e Portogallo procedano con la ristrutturazione del debito, piuttosto che uscire dall’Eurozona». Il dibattito sul futuro dell’euro continua a tenere banco nella finanza internazionale. Le due opinioni, contrastanti l’una con l’altra, arrivano da un report di Schroders di oggi. La società britannica di gestione del risparmio, che ha un giro di oltre 200 miliardi di euro, punta a spiegare quale potrebbe essere l’evoluzione della crisi europea dei debiti sovrani. Dopo i tre salvataggi compiuti da maggio a oggi, qualche nazione, come la Germania, sta perdendo la pazienza.

Che l’attuale scenario macroeconomico europeo non fosse roseo, lo si poteva immaginare. La sostenibilità dei conti pubblici continua a preoccupare gli economisti e i regolatori, per non parlare degli investitori. È di ieri l’ultimo bollettino Fiscal monitor del Fondo monetario internazionale, che mette in evidenza tutte le criticità del sistema economico europeo. Eppure, fino a sei mesi fa l’ipotesi dell’uscita dall’euro di uno Stato non era contemplabile. A rompere gli indugi a livello istituzionale è stato Lorenzo Bini Smaghi, membro del board della Banca centrale europea. In un intervento lo scorso 9 febbraio, l’economista ha largamente parlato di piano B per la risoluzione dei problemi di resistenza monetaria alla crisi in corso. Se non basta il piano A, cioè gli aiuti, si deve pensare al fallimento o la ristrutturazione del debito. Ed è ricominciata la girandola di indiscrezioni sull’uscita di un Paese dalla divisa unica.

Ora è il turno di Schroders. La società prende in esame costi e benefici per la Germania della permanenza nell’euro e dell’eventuale uscita. Il maggior vantaggio è dato dalla natura dell’economia tedesca. Senza un euro debole, Berlino non avrebbe potuto riprendersi così velocemente dalla peggiore crisi finanziaria dal 1929. Le esportazioni tedesche sono volate e ora la solidità della crescita è una realtà. Lo testimonia l’incremento della produzione nel corso del 2010, +13,7% su base annua. C’è poi il beneficio politico dettato dall’Eurozona. La potenza di fuoco di Berlino, derivante dalla sua forza economica, è tale da concentrare e influenzare tutti gli altri Stati membri quando si tratta di prendere una decisione vincolante. Lo si è visto per i bail-out di Atene, Dublino e Lisbona. Ma c’è un altro aspetto che Schroders fa notare. La Germania ha sempre dettato la linea sulla finanza pubblica dell’Eurosistema. Del resto, il report sottilinea come il Cancelliere tedesco, chiunque esso sia, è sempre il «detentore dei cordoni della borsa» in ambito europeo.

Ci sono poi i costi, economici e politici, del restare nella zona euro. Per quanto riguarda i primi, sono facili da intuire. L’Europa si trova nel mezzo della crisi più profonda dalla sua nascita. Gli interventi a sostegno del Club Med, i Paesi periferici meno fiscalmente virtuosi, sono stati dettati dall’esigenza di mantenere una certa unità di fondo. Tuttavia, la decisione di Jean-Claude Trichet, presidente della Bce, di innalzare i tassi d’interesse dello 0,25%, primo aumento dal maggio 2009, rischia di spaccare ulteriormente la già fragile Europa. Da un lato, il Club Med sarà affossato sempre di più. Colpa della percentuale di mutui a tasso variabile presenti in quelle economie, che risentiranno dell’incremento del costo del denaro. Dall’altro, la Germania e, in misura minore dato l’elevato debito pubblico, la Francia, saranno costrette a intervenire nuovamente per placare la furia dei mercati. E per Berlino, che solo per la Grecia ha speso 22,4 miliardi di euro, potrebbe esserci un nuovo esborso. Non solo: se Atene, Dublino o Lisbona decidessero di ristrutturare il proprio debito, per la Germania potrebbero esserci perdite rilevanti, considerata l’esposizione verso questi Paesi.

Oltre a questi, sono presenti gli svantaggi politici della permanenza nell’euro, strettamente collegati a quelli economici. Il salvataggio della Grecia ha provocato una forte indignazione di fondo nell’opinione pubblica tedesca. Colpa dei costi, diretti e indiretti, a scapito dei contribuenti. Di pari passo è cresciuto il malcontento dei cittadini teutonici, tanto che il 60% dei partecipanti a un sondaggio della rivista Der Spiegel ha detto che preferirebbe che la Germania uscisse dall’Euro.

Ma cosa succederebbe se Berlino uscisse? Schroders, anche in questo caso, ha calcolato vantaggi e svantaggi. Il principale vantaggio economico è dettato dalla forza dell’economia tedesca. L’introduzione di una moneta nuova, coniata dalla Germania, avrebbe un impulso negativo sull’euro, che si deprezzerebbe nel breve periodo favorendone la posizione di forza nel confronto con le altre nazioni rimaste nella divisa unica. Sotto il profilo politico, invece, nascerebbe un nuovo interlocutore commerciale, il maggiore su scala europea, che potrebbe rubare quote di mercato agli altri Paesi sfruttando proprio il peso della sua economia. Quelle descritte da Schroders restano comunque solo delle proiezioni, dato che non è mai stato sperimentato un abbandono dell’euro.

Sugli svantaggi, di contro, le certezze sono più ampie. Guardando quelli economici, è evidente che tutti i titoli emessi da banche, assicurazioni, società tedesche sono denominati in euro. Ed è considerato «improbabile» dagli analisti che Berlino possa considerarne la conversione. Ciò significa che, in caso di apprezzamento della nuova valuta rispetto all’euro, ci sarebbe una sensibile «riduzione del valore reale degli interessi e rimborsi di capitale», tale da «portare vicino al collasso il sistema finanziario tedesco». Volgendo lo sguardo agli svantaggi politici, Schroders prende a esempio la sede dalla Bce, Francoforte. «Con la riconquista della sua sovranità in materia economica e di politica monetaria, la Germania perderebbe la sua posizione politica in Europa e la sua influenza sulle istituzioni europee», spiegano gli analisti. Un prezzo troppo alto per Berlino.

Qual è quindi la soluzione? Da mesi ormai si discute del futuro dell’Eurozona e non sembra esserci una quadratura. Per Alan Brown, Chief Investment Officer di Schroders, l’unione economica e monetaria non ha futuro nella sua attuale forma. E l’impulso al cambiamento potrebbe arrivare proprio da un abbandono della moneta unica. «Se la Germania decidesse di uscire e uno dei Paesi del Club Med cadesse, un mutamento sostanziale nell’appartenenza della zona euro sarebbe altamente plausibile, molto probabilmente entro i prossimi cinque anni», scrive Brown. Per Philippe Lespinard, Chief Investment Officer della divisione Fixed Income della sgr britannica, il discorso è leggermente diverso. «Si dice spesso che, mentre una politica monetaria unica può essere giusta per l’area dell’euro nel suo insieme, la stessa può essere sbagliato per molti singoli paesi della zona. Sono d’accordo con questa opinione», scrive Lespinard. Per lui però un’uscita della Germania è da considerare troppo dannosa per rendersi possibile. «Sarebbe meglio che spingessero per la ristrutturazione dei debiti di Grecia, Irlanda e Portogallo», sottolinea l’analista. Nei fatti, quello che già sta accadendo. Almeno per ora, l’unità dell’Eurozona è preservata. 

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