BERLINO – Chi era presente, non può facilmente dimenticare la surreale conferenza stampa dello scorso 30 Agosto, quando Thilo Sarrazin presentò il suo nuovo e polemico libro ai giornalisti. Dopo aver letto i passaggi salienti, dove accusa gli immigrati musulmani di essere un peso per il Paese, e dove afferma che la Germania diventa più stupida perché gli immigrati incolti sono più fertili, l’ex dirigente della Bundesbank, un signore di 66 anni, con baffo folto e occhiali rotondi, si sedette per rispondere al dibattito. Rifiutò la maggior parte delle domande, accusando i presenti di non aver letto il suo saggio, Deutschland Schafft sich ab (la Germania si distrugge da sola). Peccato che il libro venisse consegnato per la prima volta quella mattina.
È anche vero, che molti dei presenti in quell’occasione, non furono in grado di prevedere quello che sarebbe successo dopo. Il polemico testo si trasformò, in poche settimane nel libro più venduto in Germania, e nel saggio di un autore tedesco più letto degli ultimi decenni. A sei mesi dalla pubblicazione, oggi, ha venduto 1.200.000 copie e ha spaccato in due il Paese.
Nel mezzo della polemica scatenata dalle sue teorie, Sarrazin fu costretto ad abbandonare il suo posto di dirigente della Bundesbank. La causa delle sue dimissioni fu in particolare una frase, che non è contenuta nel libro, ma che Sarrazin si lasciò scappare in conferenza stampa, e in cui assicurava che, «gli ebrei, come i baschi, hanno un gene che li differenzia». Le dimissioni di Sarrazin furono accolte con soddisfazione anche da parte di Angela Merkel e del presidente della Repubblica Christian Wulff, che considerarono le sue parole «inaccettabili». Va da sé che in Germania, parlare di geni che distinguono gli ebrei, è come gettar sale su una ferita aperta. E comunque, anche in questo caso Sarrazin accusò Merkel e Wulff di non aver letto il suo libro.
Se la Bundesbank riuscì a uscire indenne dalla polemica, non può dire lo stesso il partito socialdemocratico, l’Spd, una delle principali forze dell’opposizione al governo conservatore di Merkel. Sarrazin appartiene da decenni a questa formazione, che rappresentò in quasi 40 anni di attività nell’amministrazione pubblica tedesca: da segretario di Stato del ministero delle Finanze della Renania Palatinato, fino al suo ruolo di ministro delle Finanze della città di Berlino. Ora, alcuni dirigenti dell’Spd, evidentemente imbarazzati per le istanze difese dall’ex banchiere provocatore, stanno provando in tutti modi (ma senza successo) a escluderlo dal partito.
È evidente che in un Paese di 82 milioni di persone, in cui vivono regolarmente quattro milioni di immigrati musulmani, di cui tre milioni sono di origine turca, sono molti a considerare il successo di Sarrazin come una «reazione isterica di fronte ai cambiamenti in atto nella Repubblica Federale», come scrisse Arno Widmann, editorialista della Frankfuhrter Rundschau. Christian Staas, di Die Zeit, condannò, invece, il «progetto eugenetico» che sembra nascondersi tra le pagine di questo libro.
Sono in molti (e illustri) però, quelli che riconobbero a Sarrazin, per lo meno il merito di aver rotto un tabù. Anche il maggior esponente dell’Spd, l’ex cancelliere Helmut Schmidt, spezzò una lancia a favore del libro, ammettendo di essere d’accordo «per quanto riguarda il diverso atteggiamento, nei confronti dell’integrazione degli immigrati mussulmani», e condannando però le argomentazioni basate sulle teorie genetiche. Schmidt disse che sarebbe un errore escludere Sarrazin dall’Spd. Secondo la Bild, il tabloid più letto nel paese, il 18% dei tedeschi lo voterebbe se si presentasse con una lista alle elezioni.
Certo è che pochi mesi dopo la pubblicazione del libro, e di fronte a un successo di pubblico così evidente, anche il governo aggiustò il tiro. Secondo molti analisti, le famose parole di Merkel «il multiculturalismo è fallito», furono un cambio di strategia opportunista all’interno di questo dibattito. Da allora sono molti i politici conservatori, come il capo della Csu Horst Seenhofer che non si fanno problemi a ripetere che «l’islam non appartiene alla Germania». O come il nuovo ministro degli Interni, che nel suo discorso di assunzione, due settimane fa, non ebbe idea migliore se non rincarare la dose: «non c’è niente nella storia che dimostri che l’Islam appartiene alla Germania», assicurò.
Il risultato, è una crescente tensione sociale, dove il tedesco medio ha trovato un portavoce per le sue paure, e dove la comunità musulmana denuncia tutte le settimane di essere vittima di attacchi ingiustificati. Thilo Sarrazin, l’uomo che ha introdotto l’islamofobia nel dibattito intellettuale in Germania, vive ora nel quartiere berlinese di Neue Westend, come uno scrittore famoso, e riceve i giornalisti in pantofole nella sua villetta con giardino.
Com’è cambiata la sua vita dalla pubblicazione del libro?
Ora sono molto conosciuto, viaggio molto, tengo conferenze, rilascio interviste. È la vita di uno scrittore famoso.
«La Germania si distrugge da sola» è il titolo del suo libro. Ci può spiegare perché, secondo lei, la Germania «si mette fuori gioco»?
La Germania ha da 40 anni un tasso di nascite di 1,4 bambini per donna, e questo significa che la popolazione si riduce. Allo stesso tempo le nascite si distribuiscono in Germania in modo disomogeneo in base al livello di educazione: strati sociali meno istruiti fanno in media più figli, e per questo motivo il potenziale della Germania si riduce ancora più velocemente della popolazione. In terzo luogo, il tipo d’immigrazione che abbiamo attualmente non è adeguato a risolvere i nostri problemi. Se è certo che alcuni problemi attuali si potrebbero risolvere con l’immigrazione, dovremmo però fare arrivare solo immigrati qualificati. Non abbiamo bisogno d’immigrati incolti dalla Turchia o dall’Africa. Se il tasso di nascite di questi immigrati continua ad essere più alto, sarà solo questione di pochi anni e avremo la maggioranza della popolazione di origine turca, araba, africana e mussulmana in generale.
Quale era il suo scopo, quando ha deciso di scrivere questo saggio provocatorio?
Ho deciso di scriverlo perché mi sembra che i temi siano interessanti.
Lei stesso ammette che si tratta di un libro controverso. Dove giace la controversia?
La controversia si deve al fatto che la mia analisi è scomoda. Alla politica non piace guardare in faccia le verità scomode. Detto questo, il problema è che io argomento che persone diverse, con diverse culture, si comportano in modo differente, e questa differenza non è uguale per tutti i gruppi di immigranti. Di fatto ho rotto un tabú che dice che tutti gli immigrati sono uguali e dato che sono qui possono essere uguali ai tedeschi di nascita. Questo è un errore.
A un osservatore esterno risulta difficile, guardando la Germania, credere che la situazione possa essere così drammatica…
Nemmeno la gente che stava seduta nel bar del Titanic a bere e chiacchierare si rendeva conto di cosa stava succedendo: l’orchestra suonava, tutti stavano bene, nelle prime ore nessuno si rese conto di nulla. Ciononostante erano condannati a morte, perché l’acqua continuava ad entrare nella nave. Il problema è questo: quello che osserviamo oggi non significa nulla.
Il partito neonazista Npd sta distribuendo clandestinamente in internet copie digitali del suo libro…
Sì, è un problema e la casa editrice sta prendendo provvedimenti.
C’è però il rischio che le sue tesi finiscano con l’appoggiare ideali politici estremisti?
Credo che si tratta di un argomento totalmente irrilevante. La domanda è se il libro descrive fenomeni significativi e reali. Non si tratta di giudicare chi ha un’opinione particolare riguardo al saggio. L’osservazione che l’Npd appoggia certi passaggi del mio libro è stata usata solo per diffamarmi.
Perchè definisce ripetutamente nel suo libro gli immigrati musulmani come il cuore del problema?
L’integrazione si può misurare attraverso tre fattori: il successo dei giovani nel mercato del lavoro, i risultati nell’ambito dell’educazione e la frequenza con cui gli immigrati ricorrono agli aiuti pubblici. Secondo questi tre fattori si osserva che l’immigrazione procedente dall’est europeo o anche dall’estremo oriente non comporta alcun problema. Questi immigrati hanno lavoro, si integrano al sistema e ricorrono meno agli aiuti sociali. Tutti questi indicatori, analizzati nel contesto degli immigrati musulmani, danno risultati opposti.
Però lei dice anche qualcosa in più, e cioè che la Germania, per colpa di questi immigrati, perde competitività e diventa più stupida…
Non è esattamente così. La Germania si fa più stupida perché le classi sociali che hanno più bambini sono in media quelle meno istruite. I bambini apprendono parte dei contenuti culturali dai genitori e parte dalla scuola. In più c’è una componente genetica dell’intelligenza.
Lei dice che «se è certo che l’intelligenza si eredita, e se è certo che gruppi di popolazione con una diversa intelligenza hanno un diverso grado di fertilità, allora la fertilità produce effetti sul livello di intelligenza medio della popolazione in questione». Perché è così importante per lei descrivere questi problemi da un punto di vista dell’intelligenza genetica?
I primi due fatti non sono stati contestati da nessuno, la terza affermazione è una conseguenza delle prime due. Ci sono numerose teorie che dimostrano che il successo economico e sociale sono legati in modo positivo con l’intelligenza. Perché era importante per me? Questo lo decide ognuno per sé, la discussione si deve limitare a chiedersi se i fatti descritti siano reali o meno.
Da una parte la segnalazione di un gruppo come «il cuore del problema», dall’altra le teorie dell’intelligenza genetica: non si dovrebbe in Germania, per via del passato del nazismo, stare più attenti al momento di toccare questi temi?
Le due cose non hanno nulla a che vedere una con l’altra. Il famoso psicologo americano Martin P. Seligman, ha scritto nel suo libro What you can change and what you don’t (quello che puoi cambiare e quello che no) che le importanti ricerche dei nazisti in materia di intelligenza genetica furono ingiustamente screditate solo per via degli orrori del regime nazista. La domanda del passato nazista non c’entra niente.
Lei ha ripetuto molte volte di non essere razzista…
Non serve che lo ripeta un’altra volta, l’accusa che sono razzista è assurda.
Però lei parla di diversi livelli di intelligenza di diversi gruppi di popolazione…
Non è così. Per esempio, riguardo ai musulmani dico che la loro scarsa integrazione si deve alla loro cultura. Non dico nulla riguardo all’intelligenza dei musulmani come gruppo.
Però nel suo libro parla, in positivo, dell’intelligenza degli ebrei come gruppo e del loro successo…
Perché è così. In qualsiasi luogo del mondo in cui c’è la presenza di ebrei, essi hanno in media un maggior successo. Anche negli Stati Uniti, dove gli ebrei furono discriminati, e dove ci fu antisemitismo, gli ebrei riuscirono ugualmente ad affermarsi economicamente. Degli 800 premi Nobel che sono stati assegnati fino ad ora, il 25% è stato vinto da ebrei. Questi sono fatti.
Non è la Germania stessa responsabile di aver portato i Gastarbeiter, lavoratori ospiti, negli anni ’50 e ’60, dalle zone povere dell’Anatolia? La Germania allora non aveva bisogno di immigrati qualificati.
È vero. Per i nostri lavoratori ospiti, siamo noi stessi responsabili. Però ci sono stati anche moltissimi lavoratori invitati dalla Spagna, che poi sono tornati in Spagna o sono rimasti e oggi sono perfettamente integrati. Allo stesso modo hanno lavorato qui mezzo milione di italiani, e oggi vivono qui 500.000 persone di origine italiana, hanno le loro pizzerie e ristoranti, ma non c’è una minoranza italiana. Dei 700.000 turchi che arrivarono come lavoratori invitati, oggi abbiamo tre milioni di persone di origine turca che in gran parte vivono in una società parallela. (…) È evidente che il problema di adesso non ha nulla a che vedere con i lavoratori invitati.
È veramente possibile al giorno d’oggi, in un mondo globale, selezionare l’immigrazione in modo da fare arrivare solo gli immigrati che servono?
È possibile se c’è la volontà politica. Tutto questo vale tanto per la Germania come per l’Europa in Generale.
A causa delle sue tesi, lei ha perso il suo posto di lavoro alla Bundesbank. Pensa che la sua libertà di espressione, così com’è difesa dalla Costituzione, sia stata lesa?
Ho esercitato la mia libertà d’espressione. Credo che il problema sia che non si mette in discussione la libertà di espressione, però, sì, si mettono in discussione certe domande. Questo non è positivo per il dibattito culturale e il progresso in una società democratica. Tutte le discussioni che si basano su fatti dovrebbero essere libere.
Pochi mesi dopo la pubblicazione del suo libro, Angela Merkel ha cambiato strategia affermando che «il multiculturalismo è fallito». Crede che il successo del suo libro abbia influenzato decisioni politiche?
Non lo so. Però credo che la classe politica ha dovuto riconoscere che questi temi muovono l’interesse del 60% della popolazione. Non so però se il cambio di strategia di Merkel possa essere stato opportunista.
L’Spd, il suo partito da decenni, la vuole cacciare. Perché si ostina a rimanere?
Il partito non mi può escludere. Si tratta solo della volontà di alcuni dirigenti, a cui risulta scomoda la discussione che ho sollevato. L’Spd ha una lunga tradizione che va oltre alle opinioni specifiche di alcuni dirigenti attuali. Non c’è niente nel mio libro che possa giustificare l’esclusione dal partito.