Il mistero del wifi libero si fa sempre più fitto

Il mistero del wifi libero si fa sempre più fitto

Un ritorno al passato di quasi vent’anni. Più precisamente, al decreto ministeriale 314 del 1992, che regolava l’installazione dei vecchi apparati telefonici, più o meno aggiornato allo scenario tecnologico del 2011. Concluso venerdì scorso il periodo di consultazione sul decreto che deve regolamentare la concorrenza sull’allacciamento dei terminali internet (in base alla bozza del decreto ministeriale 198 del 26 ottobre 2010, che prevede l’attuazione della «direttiva 2008/63/CE relativa alla concorrenza sui mercati delle apparecchiature terminali di telecomunicazioni»), gli operatori del settore sono in attesa dei prossimi passi del ministero dello Sviluppo economico per comprendere una cosa in fondo molto semplice: se installare una rete wi-fi complessa sarà fuorilegge. Dalla direzione comunicazione del dicastero guidato da Paolo Romani non trapela ancora nessuna indicazione a riguardo: alle domande de Linkiesta, sulla tempistica e le modalità del provvedimento, i tecnici del dipartimento non hanno infatti fornito alcuna risposta. 

Tra le associazioni che hanno inviato le proprie osservazioni sulla normativa – come Assoprovider, Assotel, Altroconsumo, Apici e Federservizi – i nodi più impellenti da sciogliere per capire quanto la liberalizzazione del comparto sia davvero tale sono due. Il primo è l’articolo 10, che sancisce i casi in cui non serve l’intervento di personale specializzato per l’installazione di un access point, ma non chiarisce affatto se questo provvedimento riguardi le abitazioni private o soltanto i locali pubblici. Il secondo è l’istituzione di un albo degli “installatori”. Ai quali, altro punto dolente, non è richiesta alcuna laurea in ingegneria dell’informazione o in informatica. Così potrebbe capitare che un diplomato con quattro anni di «esperienza nel settore», ad esempio come commesso da Mediaworld, possa essere autorizzato a montare i famigerati «access point». Oppure che una segretaria che ha lavorato per 3 anni in un’azienda che si occupa di cablaggi, diventi il «direttore dei lavori» previsto dalla legge. 

Il rischio reale, oltre alla difficoltà dei controlli – un router con oltre 10 access point nell’era degli smartphone e dei “box” integrati non è così raro come può sembrare – riguarda il possibile incremento dei lavori realizzati «in nero» per risparmiare sui costi che comporterà l’iscrizione al famigerato “albo degli installatori”. L’albo ancora non esiste ma al suo interno ci saranno di sicuro i big del settore, come conferma Asstel, l’associazione che riunisce le grandi aziende di tlc, da Telecom a Fastweb, da Wind a Tiscali – uscita a metà febbraio da Confindustria servizi innovativi e tecnologici. Questo è già previsto dalla bozza in esame e quindi il provvedimento da questo punto di vista sancisce una realtà già in essere e per di più confermata dalla legge Gasparri del 2003

C’è poi la questione della limitazione a “soli” 10 access point, numero oltre il quale è richiesta la certificazione da parte di una società di cablaggio. Dino Bortolotto, battagliero presidente di Assoprovider, spiega a Linkiesta che: «si tratta di una soglia assurdamente bassa. Oggi si va verso l’internet delle cose, siamo entrati nella fase Ipv6 (il protocollo di rete che sostituirà l’Ipv4 ampliandone la capacità trasmissiva, ndr) e già oggi esistono moltissimi apparati, come gli elettrodomestici o la lavatrice, che hanno un indirizzo Ip». Assoprovider chiede dal 2006 l’abrogazione del precedente albo degli installatori, quello a cui sono iscritti i tecnici delle centraline telefoniche, quelli della Sip per intenderci, ottenendo soltanto dichiarazioni di intenti.

Fino a quando, a sorpresa, il 23 marzo è arrivata l’apertura delle consultazioni. «Ci era stato detto che l’iter per il recepimento della direttiva europea si sarebbe concluso a ottobre 2011» racconta Stefano Tonelli, consulente informatico e presidente dell’associazione Apici, che riunisce le piccole realtà del settore. Gli fa eco Bortolotto: «Ho scoperto per caso che il decreto era in consultazione, nessuno ci ha avvisato». 

Rimane un dubbio: se le grandi compagnie telefoniche sono autorizzate dal 2003 a installare i router adsl o wi-fi, quali soggetti sono avvantaggiati dal nuovo “patentino” previsto dalla legge 128? L’elenco degli operatori autorizzati dalla vecchia legge del 1992 conta circa 1500 iscritti distribuiti su tutta Italia. Un bacino che dipendeva dalle commesse della vecchia Telecom prima della privatizzazione. E che ora non comprendono solamente grandi aziende come Sirti ma anche una cinquantina di altre società più piccole che lavorano su grossi impianti. 

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