BOLOGNA – «Domande? Interventi?». Qualche vecchio si alza sempre, alla fine dei comizi, e prende il microfono per raccontare storie. Pesca nell’archeologia delle emozioni. Nel sussidiario ormai logoro della sinistra italiana. Anche in piazza Maggiore, dopo che al gazebo dello Spi (i pensionati Cgil) ha parlato il candidato sindaco del Pd Virginio Merola, un ferrarese del ’39 da una vita a Bologna chiede la parola e si infiamma per Scelba e la legge truffa del ’53 e le sue lotte da quattordicenne. Poi se ne va stringendo le mani solo ai due giovani presenti al tavolo degli oratori. Gesto inteso come politico, polemico o testimoniale.
Ma i due ragazzi, uno autoctono, l’altro – Vito – che rappresenta ideologicamente – e tecnicamente – il meridionale immigrato a Bologna per gli studi universitari all’Alma Mater, sembrano quanto di più lontano esista da quell’evocazione della «lotta tra Bene e Male, tra democrazia e baratro autoritario». Sarà proprio Vito (pugliese, nello specifico) a chiarire i limiti e i contorni del progetto e delle aspirazioni politiche della sua associazione democratica (la SìAmoBologna). Un programma in pochi punti di spirito eminentemente pratico: raccolta delle bottiglie di vetro lasciate a terra dagli studenti nella zona delle facoltà, per evitare il degrado e aumentare la raccolta differenziata; bacheche più grandi per diminuire gli effetti antiestetici dell’attacchinaggio abusivo degli annunci cerca/offre; più bagni pubblici per tutti, per evitare il fenomeno della pipì per strada.
Esempio estremo di gap generazionale e sentimentale. Ma al di là di questo, molto – e più significativamente – sembra essere cambiato in città. E non dagli anni Cinquanta, non dal «modello Bologna» del sindaco Giuseppe Dozza e dei successori (tutti Pci fino a che il comunismo ha resistito alla Storia: Guido Fanti, Renato Zangheri, Renzo Imbeni…). La campagna elettorale per il Comune è in tono minore anche rispetto alle grandi speranze e promesse delle ultime due sfide. Quella della reconquista della città da parte di Cofferati dopo il quinquennio di Guazzaloca, nel 2004, e quella vinta da Flavio Delbono nel 2009, cui troppo presto seguì lo scandalo «Cinziagate» (con tanto di dimissioni) e l’onta del commissariamento prefettizio della città.
Salvatore Tesoriero è arrivato a Bologna ventenne da Milazzo. Ora ha trent’anni, fa l’avvocato – penalista – e il ricercatore in Università. Da un paio d’anni ha diradato la sua partecipazione politica ma conserva nel Pd le cariche correntizie assunte dopo il congresso fondativo, dove appoggiò la mozione Marino. Ha per il partito uno sguardo non ingeneroso ma sufficientemente distaccato per consentire l’analisi lucida anche in tempi di campagna elettorale.
«Più ancora dello choc Delbono, che fuori da qui non si può nemmeno capire che botta sia stata, si pagano le grandi aspettative create, e poi tradite da Cofferati», spiega. «Nel 2004 l’asticella fu molto alzata. Troppo. La città fu ingorgata di speranze. Quel Papa straniero era, va ammesso, un autentico fuoriclasse. E seppe intercettare un sentimento molto caro ai bolognesi: quello di rappresentare un “laboratorio per le politiche nazionali”. Poi però con l’ossessione legalitaria rivolta quasi solo verso lavavetri e clochard, con la tolleranza zero contro la birretta per strada, ha prodotto uno scontento e una delusione senza precedenti. Il sistema – prosegue – ha cercato di reagire con una soluzione interna che marcasse la distanza dall’ex sindacalista. Un professore stimato, un prodiano doc. Delbono è stato eletto. Ma è finita malissimo. Adesso il sistema si trova a dover cercare una seconda reazione. Ma Merola, un uomo dell’apparato del partito, deve sembrare allo stesso tempo lontano da Cofferati (di cui in realtà fu Assessore all’Urbanistica) e da Delbono. In città si è aperta una grande polemica sul tema dei cosiddetti “Migliori” dopo che il rettore dell’Università, Ivano Dionigi, aveva bocciato nel settembre scorso “i candidati sindaci piacioni e sondaggiati e i professionisti della politica”, chiedendo che si tornasse a pescare tra “i Migliori” della società civile. Il partito ha risposto dicendo che i migliori non esistono».
Merola, che è stato anche presidente del Consiglio provinciale (si è dimesso per candidarsi a sindaco) e presidente del Quartiere Savena per due mandati, lo ripete spesso, ai comizi, di non essere «un Migliore». Ma «uno come tanti», uno che sa ascoltare. Il partito ha scelto di costruire la campagna con questa chiave retorica: poche spese (160 mila euro contro gli oltre 400 mila di Delbono) modestia, toni bassi (anche nei confronti del principale avversario, il leghista Manes Bernardini). E la negazione continua che a Bologna serva un laboratorio di idee, di politica su grande scala. Si punta invece a un cantiere pratico, attento all’urbanistica in senso stretto, alla riorganizzazione dei negozi sfitti, alla riqualificazione dell’arredo urbano e dell’illuminazione pubblica. E si annuncia qualche piano per il lavoro giovanile post crisi.
Una campagna elettorale poco visibile e con cinque candidati non di peso, almeno in una città abituata a una buona qualità della classe dirigente. «La cosa che bisogna dire di Merola», aggiunge Tesoriero, «è che non si riesce a sparare a zero contro di lui, nonostante certe sue uscite, perché non è attaccabile sul suo operato da assessore con Cofferati. In un clima di veleni, se qualcosa doveva saltar fuori, sarebbe già uscito. Per cui, grazie a questo, gli si perdonano anche le gaffes. Come quando ha detto di sperare che il Bologna torni presto in serie A mentre la squadra è già nella massima serie, o quando ha affermato, a un convegno del Pd, di non voler più partecipare a riunioni con claques avversarie, dopo che la gente aveva rumoreggiato alla sua frase “Da dieci anni Bologna ha una classe politica inadeguata”, quando lui proprio di quella dirigenza ha fatto parte».
Non pochi, nel partito, vivono queste elezioni come una grande occasione persa per la ricostruzione del dopo Delbono.Poteva essere scelto un candidato più forte, magari pescando fuori dall’apparato. «Qua non ci dobbiamo turare solo il naso, ma tutti gli orifizi», ha detto un altro militante senza voler essere citato. «Anche al Consiglio di Facoltà sono stati durissimi con Delbono, recentemente. Hanno parlato del “disonore” di avere in Università uno che ha patteggiato per peculato e abuso d’ufficio. Dovevamo rifarci una verginità, trovare una personalità esemplare. E invece ci si è accontentati di una soluzione al risparmio. Abbiamo dimostrato ancora una volta di essere una città di conservatori».
La candidatura di Merola (che fu un anti Delbono nel 2009) è arrivata dopo numerose tribolazioni. Da Roma si era chiesto di evitare le primarie per paura di perderle, e solo la resistenza del segretario cittadino Raffaele Donini è riuscito a salvarle. Fin quasi all’ultimo Andrea De Maria continuava a non volersi ritirare, e, con due candidati interni, il Pd rischiava di andare sotto alla candidata vendoliana, di area Caritas, Amelia Frascaroli. E poi c’era stata tutta la vicenda di Maurizio Cevenini, il mister preferenze famoso per il numero da guinness dei primati di matrimoni celebrati, candidato in pectore fino a un attacco ischemico che ha scatenato le più incredibili dietrologie complottistiche in città.
Ma l’occasione l’ha persa anche la destra. Il Pdl ha annunciato per mesi un grosso nome, un asso nella manica (cercava di portare dalla sua, come candidato civico, il commissario prefettizio Anna Maria Cancellieri). «Un briscolone», per usare la parola mantra del coordinatore regionale Filippo Berselli. Alla fine si è trovato ad appoggiare il candidato leghista Manes Bernardini, un avvocato trentottenne che, incaricato tardi, a un mese dalle elezioni ha appena trovato una sede per il comitato elettorale e sta impazzendo dietro a Telecom ed Enel per gli allacci.
Nel Carroccio fin dalla prima ora (tessera nel 1991 e Tesi di laurea, nel 1998, sul Senato delle Regioni) vuol mostrarsi certo del ballottaggio, anche grazie all’astensione prevista in ulteriore crescita. «E dopo sarà una partita da tripla, da 1X2», dice con espressione da Totocalcio, lui che non si perde mai un match del Bologna (rigorosamente in curva). «La Lega, che ha scelto lo slogan “Finalmente!”, crea entusiasmo, dà energia. È dirompente nell’immobilismo di questa città», spiega. «Molti elettori di sinistra si sentono traditi e qualcuno è pronto a fare il salto. A darci un voto “sub iudice” per vedere cosa siamo capaci di fare. Lavoreremo su degrado e la sicurezza. Questa città ha bisogno di nuovi marciapiedi, pubblica illuminazione, verde curato. E poi abbiamo scelto un altro slogan sui bus, “Pagare meno, pagare tutti. Il biglietto”. Perché ora lo pagano solo i bolognesi onesti e nulla si fa per contrastare chi non tira fuori i soldi del ticket. Si alzano soltanto le tariffe. Se potevamo gestire meglio il dopo Delbono? Beh, se per noi è stato un travaglio, per la sinistra è stato un aborto, visto il candidato che hanno scelto e che non possono certo vendere come nuovo».
Ma nell’Emilia che ha visto negli ultimi anni una crescita anche prepotente della Lega,Bologna è la città dove il movimento di Bossi ha faticato di più, e la rincorsa sembra proibitiva. Anche perché, più o meno di destra, ci sono altri due candidati d’area, Stefano Aldrovandi (civico appoggiato a Fli e Udc, che doveva schierare Guazzaloca come capolista fino alla sua iscrizione nel registro degli indagati per corruzione nella vicenda del tram su gomma Civis) e Daniele Corticelli di Bologna Capitale. Ultimo a spartire i voti è il grillino Massimo Bugani. In una città dove il Movimento Cinque Stelle si è tolto grandi soddisfazioni (eleggendo addirittura due consiglieri in Regione) può erodere voti a sinistra. Ma il dibattito politico attuale (molto spinto sui temi dell’immigrazione e meno attento a quelli dell’antipolitica rispetto a un paio d’anni fa) sembra meno favorevole di allora per questo fotografo di 33 anni, che insiste per non voler essere definito «candidato» ma «portavoce», e che è stato bacchettato dalla cronaca locale del Corriere della Sera perché ignorava chi fosse Dossetti.
Stefano Bonaga insegna Antropologia filosofica. Viene spesso ricordato per dati biografici inessenziali ma suggestivi, come il fidanzamento con Alba Parietti o il matrimonio con Andrea Lehotska. È tra le voci più di frequente sentite sulla politica in città. Stavolta i quotidiani cittadini lo hanno messo tra i vogatori per Aldrovandi, cosa che non ha gradito («anche se lo stimo e se lui ha appoggiato il mio progetto Visionville»). «Sono un uomo disperato», dice un po’ compiaciuto. Perché? «Perché Bologna ormai è una città rentière. Vive di rendita degli anni Cinquanta (quando fu un esempio di modello sociale, decentramento, preservazione della collina, conservazione del centro storico). Ma quella spinta propulsiva è esaurita e non da poco. Ormai la sinistra vince non per il “Se non ora, quando?”, ma per il “Se non io, chi?” E a dirvelo è un uomo che l’ha sempre votata. Da assessore all’Innovazione amministrativa, nel 1995, detti internet alla città con la rete civica Iperbole. E, credetemi, io non sono un entusiasta del web. Solo che mi sembrava una scommessa fondamentale. Fummo per un po’ in anticipo sui tempi. Ci studiavano in tutta Europa. Poi D’Alema e Mauro Zani (qui il suo blog) mi chiamarono a Roma, al partito. Zani mi rimproverò: “Volete finirla con questa moda del ‘telematico’ che non andrà da nessuna parte? Pensate a riempire piuttosto le buche, a Bologna!”. Era un segnale. Quello che più mi rattrista è che il vero ghe pensi mi in Italia l’ha fatto la sinistra. Berlusconi ha lavorato sul complesso di inferiorità degli impolitici e degli orfani di Psi e Dc. È andato dagli sfigati e ha detto loro: “Voi siete il sale della terra”. Ha politicizzato i disinteressati, i qualunquisti, gli ignoranti. È stata la sinistra, invece, a dire: “Fidatevi di noi che siamo bravi e pensiamo a tutto noi”. A depoliticizzare e deresponsabilizzare i suoi elettori nelle amministrazioni locali. Adesso ci troviamo in una città con una assoluta impermeabilità nei confronti di una risorsa come la sua università; fiacca, stanca, senza idee, avvelenata. Delbono cammina rasente ai muri coprendosi la faccia per la vergogna. Per mesi il Pd aveva individuato in Cevenini, il recordman dei matrimoni, il candidato giusto perché a una Festa dell’Unità aveva detto no alla moschea, no ai matrimoni gay, sì al welfare. Capito? Poi, dopo la malattia, è saltato fuori Merola. Uno dell’apparato. Fa ridere quando dice che è un uomo nuovo perché viene da un partito, il Pd, che non ha ancora compiuto quattro anni. Avevo detto, poco prima del big shock di Guazzaloca, nel 1999: “Facciamo finta di aver perso anche se vinciamo”. Lo ripeto stavolta. Merola vincerà per mancanza di avversari. Ma, dopo, la sinistra si dia da fare. Perché davvero, scusate, ma sono disperato».
I siti dei cinque candidati sindaco di Bologna:
Virginio Merola (Pd e Centrosinistra)
Manes Bernardini (Lega Nord e Pdl)
Stefano Aldovrandi (Civico appoggiato da Fli e Udc)
Massimo Bugani (Movimento Cinque Stelle)
Daniele Corticelli (Civico centrodestra)
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