Fortunato chi ne può approfittare. L’ultima trovata per guadagnare qualche quattrino e mantenersi gli studi viene dagli universitari cinesi. Ma è dedicata solo agli uomini, gli unici a poter donare lo sperma in cambio di denaro. Riempire una provetta basta per incassare fino a tremila yuan, più di 300 euro, come compensazione per trasporti, pasti e tempo perso all’università o al lavoro. Il fenomeno è esploso nella provincia meridionale del Guangdong dove i giovani rappresentano il 95 per cento dei donatori della banca del seme. Ma questo “lavoretto” fai da te si è già esteso da una parte all’altra del paese. In Cina, infatti, la fecondazione eterologa è legale.
La procedura è molto semplice: basta sottoporsi a un insieme di analisi del sangue e test prima di effettuare la donazione. Le coppie sterili ringraziano. La banca del seme di Guangzhou è aperta a tutti gli uomini tra i 22 e i 45 anni, previo controllo dello stato di salute. Non sono contemplati però gli omosessuali e i cittadini extra-comunitari. Non a caso. Pechino ha deciso di limitare la domanda di sperma da parte delle coppie straniere. Italiane, ad esempio, che per ingannare la legge del 19 febbraio 2004, n. 40 (“Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”) che vieta “il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo” potrebbero scegliere di abbandonare il Belpaese e andare a concepire in Cina.
Tagliate fuori per forza di cose dal business del seme, le ragazze, pur di intascare qualche soldino facile, si danno spesso alla lap dance o agli spogliarelli davanti alla webcam. Un sondaggio lanciato da Studenti.it rivela che il 33% dei 2.695.000 utenti unici mensili del portale studentesco (Dati Audiweb gennaio 2011) è “possibilista” rispetto all’eventualità di prostituirsi per pagare gli studi. Il discorso vale per le studentesse squattrinate. Ma anche per donne insospettabili. Casalinghe, spose borghesi e annoiate o semplici impiegate. Italiane e straniere.
Come Anya, 34enne russa, da quattro assunta in una ditta privata nel centro di Mosca. Da due anni guadagna circa 1.200 euro al mese. Il lavoro non va male ma con la crisi lo stipendio si è alleggerito. Perciò, per arrotondare, Anya vende ai colleghi di lavoro il suo corpo bianco ed esile. Per lei avere relazioni sessuali che non portino vantaggi materiali è “assurdo”. E la pensa così il 61 per cento delle sue conterranee. Il sondaggio ripreso dal settimanale “Ogoniok” parla chiaro: non si tratta di escort professioniste o di prostitute costrette a vendersi per sopravvivere alla miseria. Anya preferisce chiamarla “prostituzione part-time”. Io sono mia? Ni. Il passaparola è il sistema a cui ci si affida una volta entrate nel giro, poi si ricorre al web per trovare i primi contatti. Su olx.it, per esempio, un sedicente “bianco caucasico” sulla quarantina e “qualche chilo in più” cerca una “donna per una relazione di sesso ma anche più”.
Non è detto che sia disposto a sborsare quattrini. Ma non è nemmeno detto il contrario. Trovare uomini dalla tasche larghe non è poi così difficile. Molte volte basta semplicemente una webcam. Ed ecco centinaia di voyeurs disposti a pagare anche 150 euro (70 per l’agenzia e 80 per la ragazza) per dieci minuti di conversazione con una fanciulla in mutandine. Morgana, 22 anni, studentessa di scienze politiche alla Sapienza di Roma, raccontava sul portale StudentiMagazine che «in un mese riesco anche a guadagnare 3000 euro per poche ore al giorno comodamente seduta davanti al mio pc». Basta un clic e un po’ di creatività. Ma a che prezzo?