Sicuramente, quella di ieri non è stata tra le migliori edizioni della mezza maratona di Napoli, con gli atleti costretti ad un vero e proprio slalom tra i cumuli di rifiuti. E’ successo ad esempio nella centralissima Via Toledo: increduli gli extra-campani, profondamente amareggiati quelli partenopei, per l’immagine profondamente negativa offerta ancora una volta dalla città.
In realtà, nonostante i proclami, l’emergenza non è mai finita, l’Azienda cittadina di igiene urbana, l’Asia, ha fatto sapere che le previsioni per le feste pasquali sono poco rassicuranti, e albergatori, ristoratori e tour operator sono decisi a insorgere nei confronti delle istituzioni dato che si registrano addirittura 95mila turisti in meno, in due anni.
Ma, come era facilmente prevedibile, Regione, Provincia e Comune fanno a scaricabarile, perché assolutamente incapaci di realizzare e gestire un corretto ciclo dei rifiuti e, nel frattempo, viene pubblicato anche il famigerato Rapporto Sebiorec, rimasto inspiegabilmente nascosto per mesi, che ha rivelato che c’è diossina cancerogena nel sangue di napoletani e casertani, c’è troppo arsenico nell’acqua e non mancano, in alcuni comuni, i velenosi Pcb.
Alla base della bozza del Piano Rifiuti Urbani inviato alla Commissione Europea, per convincere Bruxelles a svincolare i fondi europei bloccati dalla procedura di infrazione comunitaria ed evitare l’applicazione delle multe, ci sono un minimo di 8.000.000 di mc di discariche nei prossimi 10 anni ( per intenderci 12 volte la grandezza di quella di Chiaiano), tre inceneritori (di cui uno, quello di Acerra, già esistente ma ben lontano dall’essere un prodigio della tecnica infatti ad una scarsa efficienza energetica si aggiunge l’estrema pericolosità dei prodotti di scarto) e un gassificatore e appena il 18% di materia riciclata.
Tralasciando il mancato rispetto, da parte delle autorità italiane, degli obblighi di coinvolgimento della popolazione campana nel procedimento di pianificazione in corso, così come previsti dalla Convenzione di Aarhus, bisogna sottolineare che si continua a non rispettare la gerarchia definita dalla direttiva europea quadro del 2008 che relega in fondo alla scala delle priorità l’incenerimento e il conferimento in discarica dei rifiuti.
I redattori del piano escludono cioè, di fatto, qualsiasi altro processo e tecnologia che non sia quello della combustione dei rifiuti e della digestione della sostanza organica.
Da notare, che la portata complessiva dei soli inceneritori di Napoli (1000 tonnellate al giorno) e Acerra (2000 tonnellate quotidiane a pieno regime nei tre forni tarati per bruciare 650.000 tonnellate annue) è pari alla portata giornaliera di tutti e nove gli inceneritori che servono l’Austria e maggiore degli 8 impianti che servono l’Emilia Romagna, secondo elaborazioni Ispra su dati Eurostat.
Perché allora, in Campania se ne vogliono costruire altri tre? Forse perché sono la gallina dalle uova d’oro? L’amministratore delegato di Impregilo, società che ha realizzato e gestito l’inceneritore acerrano, ha annunciato, che si è trattato di un successo in grande stile, che nel 2010 ha fruttato ben 100 milioni di euro e che nei primi mesi del 2011 ha fatturato già quasi 20 milioni.