Nasce il Pnr, il piano nazionale della ricerca, e distribuisce quasi due miliardi di euro per questo bistrattato settore. La notizia ha avuto ampio spazio nelle agenzie di stampa e sui giornali. Ma è falsa. In conferenza stampa, martedì scorso, c’erano il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. «È un messaggio di fiducia e di speranza per il mondo dell’università e della ricerca», ha enfaticamente ammesso il sottosegretario.
Peccato che all’università non vada nemmeno un euro e che per gli enti pubblici di ricerca, ai quali i soldi sono destinati, non si tratta di stanziamenti nuovi ma di linee di linee di indirizzo di fondi già stanziati dal Cipe per il triennio 2011-2013. Milioni di euro già a disposizione degli enti stessi, quindi.
Poi di notizia ce n’è un’altra. Il Pnr prevede 14 progetti bandiera e stabilisce “indirizzi e strategie da adottare nei settori della ricerca per il rilancio dell’economia e dello sviluppo italiani”. A ben vedere, quindi, e come abbiamo potuto appurare consultando gli enti interessati, si tratta di un atto di indirizzo. Né soldi nuovi, né progetti nuovi, né tantomeno finanziamenti all’università.
Ma tra questi progetti ci sono 14 milioni di euro destinati a Enea, Cnr e Istituto nazionale di fisica nucleare per un progetto “orientato al rafforzamento del sistema energetico nazionale insufficiente a soddisfare la crescente e inevitabile domanda di energia” e che ha tra gli obiettivi a breve termine la “realizzazione di reattori (testuale, ndr) a elevato grado di sicurezza, la ricerca sui siti, la ricerca sulle soluzioni tecnologiche per lo smaltimento dei rifiuti”. Tra gli obiettivi a medio-lungo periodo ci sono poi “nuovi reattori di IV generazione e neutroni veloci, con standard di sicurezza elevatissimi”.
Insomma, il governo non ha inteso affatto congelare il piano nucleare, come ieri ha fatto capire lo stesso Berlusconi («ripartiremo, ma adesso ci siamo fermati altrimenti avremmo perduto il referendum»), oppure la decisione è stata talmente repentina che nessuno ha pensato di destinare i 14 milioni a qualcosa di più immediatamente redditizio. Anche se ovviamente fare ricerca è una cosa, aprire centrali nucleari un’altra.
Dei 1.772 milioni stanziati, 600 sono dell’Agenzia Spaziale Italiana per la seconda generazione della costellazione di satelliti Cosmo SkyMed, 450 del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) per il progetto Ritmare (Ricerca italiana per il mare) e 250 dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) per la costruzione dell’acceleratore di particelle Super B, destinato a diventare una sorta di braccio destro del grande acceleratore del Cern di Ginevra, il Large Hadron Collider (Lhc). Al progetto Astri, gestito dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (Infn) per la realizzazione di una nuova generazione di telescopi, sono assegnati 8 milioni.
Alessandro Ferretti, ricercatore del dipartimento di fisica dell’università di Torino ci spiega: «Sono soldi già stanziati, e distribuirli tra 14 progetti bandiera è un’idea anti scientifica. È come se si dicesse all’ente di ricerca: questi soldi messi a disposizione vanno a tal progetto. E gli altri? Resteranno a bocca asciutta? Non è dato sapere, ma visto la penuria dei fondi temiamo di sì».
«I progetti bandiera sono 14, ma dovrebbero essere quattordicimila – sottolinea Pietro Graglia, della Statale di Milano e rappresentante della rete di ricercatori di ruolo all’università – Da una parte si enfatizzano piani di ricerca che a ben vedere non stanziano soldi nuovi, dall’altra parte si congelano le retribuzioni dei ricercatori universitari. È un controsenso”.
La rete 29 aprile, che unisce in un coordinamento i ricercatori, sia di ruolo che precari, è in subbuglio. Non è strano che siamo stati noi a informare loro del Piano nazionale della ricerca. «Non ne sapevamo nulla ma non possiamo stare dietro a tutte le loro operazioni di marketing – risponde Bartolomeo Azzaro, ricercatore di architettura della Sapienza e anche lui facente parte del coordinamento – Stia sicura che quando si tratta di fondi veri ne siamo informati. Quello che mi colpisce è che si tratta di progetti che riguardano gli enti pubblici di ricerca mentre è tagliata fuori l’università. È strano, perché la ricerca pubblica italiana è ai vertici di tutte le classifiche mondiali, mentre quella privata è un fanalino di coda. E noi che facciamo? Tagliamo le gambe alle eccellenze. È l’esempio di un’Italia suicida».