È vero ciò che dicono alcuni investitori: gli obiettivi italiani nel fotovoltaico, in confronto a quelli altri Paesi europei, potrebbero essere incrementati. Il nostro Paese potrebbe spingersi oltre il traguardo di 8 gigawatt di potenza fotovoltaica installata prevista per il 2020. Si cita sempre la Germania: già alla fine del 2010 aveva installato 17 gigawatt di potenza totale, di cui ben sette in quel solo anno. A questi ritmi, Berlino potrebbe sfondare quota 24 gigawatt prima della fine del 2011: è il triplo del nostro obiettivo al 2020.
Se però vogliamo fare un confronto completo, è opportuno paragonare anche altri aspetti per cui il sole italiano si distingue da quello tedesco. Il primo è sicuramente il costo in bolletta dell’energia fotovoltaica. In Germania nel 2010 sono stati prodotti 12.000 gigawattora di energia dal solare, pari all’1,9% del totale lordo di produzione elettrica nazionale, per un costo d’incentivazione di 4,9 miliardi di euro. In Italia i nostri 1.600 gigawattora di produzione elettrica dal fotovoltaico sono stati pagati 800 milioni di euro, coprendo a malapena lo 0,5 percento della produzione elettrica totale. In media, un gigawattora solare prodotto in Germania costa di incentivi ai consumatori 400.000 euro, rispetto ai 500.000 che si pagano in Italia.
Forse, questa differenza del 20 percento nel costo potrebbe sembrare tollerabile: in Italia, in fondo, l’industria è ancora molto giovane, e può sembrare opportuno offrire ritorni più alti per favorire la crescita del settore. Anche qui, però, dobbiamo considerare un elemento peculiare: il sole italiano è molto più intenso rispetto a quello tedesco. Se s’installa un megawatt di potenza in Italia, si produce più energia rispetto a una stessa installazione in Germania.
Per aggiungere un po’ di numeri: in Baviera, zona di principale successo dei programmi fotovoltaici tedeschi, il rapporto tra potenza installata e producibilità è circa 900, ossia per ogni megawatt di potenza installata, in un anno si generano circa 0,9 gigawattora di elettricità. In Puglia, regione di punta del solare italiano, il rapporto tra potenza installata e producibilità è 1.300 (rispetto al 900 bavarese), ossia ogni megawatt di potenza installata genera 1,3 gigawattora di elettricità l’anno.
Sia in Baviera, che in Italia, il costo per installare la potenza “base” è simile (si parla di costo, non di investimento!); visto che però la producibilità è maggiore in Italia, se vogliamo che i ritorni finanziari siano uguali (per esempio, il 5 % dei costi), gli incentivi tedeschi dovrebbero essere più alti. Come abbiamo visto, per qualche strana ragione si è però verificato il contrario. Oltre alla spesa per installare il fotovoltaico, occorre anche comprendere se l’Italia si può “permettere” una spesa in fotovoltaico paragonabile a quella tedesca. Le nostre industrie sono estremamente diverse, e purtroppo l’Italia da questo punto di vista non è in buone condizioni. Viene assemblato in Italia solo il 15% dei pannelli che vengono importati, e proviene dall’estero il 98% del silicio prodotto e venduto. L’Italia si è concentrata sull’installazione, dove i margini sono più bassi.
È una questione rilevante: dove rimangono i soldi è fondamentale per comprendere se un piano di incentivi fa bene all’economia. Il problema è anche tedesco: anche in Germania, la crescita troppo rapida del settore non ha fatto bene all’industria. Con orrore, Berlino si è accorta che da qualche tempo è diventata importatrice netta di pannelli: nel 2010 il paese ha esportato 5,4 miliardi di euro di pannelli, e ne ha importati 11,59 miliardi. Ha ringraziato la Cina: ha venduto ai tedeschi il doppio dei pannelli solari rispetto al 2009, arrivando a quota 5,89.
Considerando che l’industria nazionale non riusciva a tenere il passo delle installazioni, e che la spesa prevista al 2030 era di 105 miliardi di euro per le incentivazioni fotovoltaiche, la Germania ha abbassato gli incentivi progressivamente, ma con chiarezza e decisione. Su terra, la riduzione degli incentivi è stata del 15 % al luglio 2010, e di un altro 13 % all’inizio del 2011. È stata decisa un’ulteriore riduzione del 3-15 % per il luglio 2011, a seconda delle dimensioni degli impianti.
Dalla Germania solare il nostro Paese dovrebbe apprezzare e copiare la fermezza nella pianificazione. Ormai quasi tutti sono d’accordo sul fatto che gli incentivi italiani sono troppo alti. Il problema è che non hanno creato un’industria “vera”, ma un settore inflazionato da guadagni non commisurati agli investimenti. Offrire ritorni garantiti dell’8 percento per vent’anni equivale, con una leva finanziaria decente, a rendite del 30 percento l’anno. Ha creato un settore dell’installazione, ma in maniera artificiale. Una selezione degli operatori è in arrivo, e non si può pretendere che lo stato salvi tutti. Quello che dobbiamo pretendere, però, è che se la crescita è stata gestita male, almeno lo scoppio della bolla sia accompagnato da politiche gestibili dagli investitori – non da annunci e litigi. Così non si fa selezione, ma si genera solo panico.
*Docente di economia e politica presso l’Università di Potsdam e autore di «La guerra del clima – Geopolitica delle energie rinnovabili».