Riusciranno i nostri eroi a far cadere Gheddafi?

Riusciranno i nostri eroi a far cadere Gheddafi?

È ormai da più di un mese che la caduta del più longevo dittatore d’Africa viene data per imminente, questione di ore, e invece il suo potere non sembra venir meno. Ancora una volta, se si guarda alla sua storia personale e a quella della Libia che governa dal 1969, la fine di Gheddafi è stata data per certa troppo presto. I bombardamenti della Nato hanno avuto l’effetto di fermare la riconquista della Cirenaica da parte delle truppe lealiste, ma non sembrano avere la forza per far cadere il Colonnello.

Sul campo Gheddafi sta dando una grande prova di resistenza e sembra riuscire a contrastare efficacemente le forze ribelli a Msrata e nella provincia della Sirte. L’esercito di Gheddafi può ancora contare su una rete di comunicazioni per gran parte intatta, mentre truppe fresche proveniente dal Fezzan, lo sterminato Sud desertico della Libia, vengono avvicendandosi a quelle in prima linea. Il ricorso ad armamenti leggeri e veloci, in alternanza con i grandi carri corazzati, si è rivelata una scelta vincente per il regime che è riuscito in questo modo a rendere più difficilmente riconoscibili ai piloti dell’alleanza le sue truppe, confondendole con quelle dei ribelli. Così si spiegano gli errori degli ultimi giorni commessi dai caccia della Nato che hanno finito per colpire in modo accidentale le stesse forze ribelli.

La guerra civile si sta trasformando in una guerra di posizione che rischia di dilatare pericolosamente i tempi delle operazioni. Il parziale disimpegno dalla prima linea d’attacco degli Stati Uniti indebolisce ulteriormente la strategia militare della coalizione che fino ad ora non è riuscita a minare sensibilmente le fondamenta del potere di Gheddafi. Anche se il Colonnello non potrà in ogni caso essere un interlocutore credibile di eventuali trattative ufficiali, la prospettiva di attenderne pazientemente la caduta “per logoramento” rischia di essere molto pericolosa perché è proprio in situazioni di instabilità diffusa come quella che si è creata in Libia che gli estremisti e i professionisti del terrorismo hanno più facilità nell’infiltrare la società e le sue istituzioni.

Anche l’Italia, per bocca del ministro degli Esteri Frattini, ha tagliato tutti i ponti con Gheddafi riconoscendo come unico legittimo interlocutore del popolo libico il Comitato nazionale transitorio di Bengazi. Il calcolo che si sta facendo è che il denaro di cui Gheddafi ha bisogno per continuare la guerra presto finirà per non poter più fare affidamento sulle entrate dalla rendita petrolifera, mentre proprio i cosiddetti ribelli, vendendo in proprio il petrolio, potranno auto-finanziari. Non è certo un caso se infatti le truppe fedeli a Gheddafi hanno attaccato Marada e Mislah (nel Sud-Ovest del paese) dove si trovano importanti giacimenti e infrastrutture petrolifere per evitare che i ribelli vendano petrolio in proprio.

Quel che non si mette però in conto è che il potere di Gheddafi non è semplicemente un potere economico, ma si tratta di un potere fortemente simbolico, fondato sulla sua stessa figura carismatica di guida, di leader (zaim, in arabo). La contraddizione paradossale del regime di Gheddafi è di essere un regime palesemente anti-democratico che però è capace di infiltrare pressoché tutti gli ambienti sociali attraverso una complicata rete clientelare che spesso si fonda sulle relazioni familiari allargate. Questa è la “beduinizzazione” della società libica che Gheddafi ha a lungo alimentato sotto le apparenze del governo delle masse, in stretto connubio con la ridistribuzione delle risorse assicurate dalla rendita petrolifera.

Certo in un periodo medio-lungo la scarsità di risorse economiche potrebbe far entrare in affanno la macchina del regime e portarla alla definitiva rottura, ma non si può sperare con le sole bombe di distruggere la rete clientelare sulla quale si fonda il potere del Colonnello. La soluzione alla crisi libica deve essere politica e il ricorso all’intervento militare ha probabilmente avuto l’effetto di complicarne i termini di riferimento quanto ancor di più risulterebbe nell’ipotesi (forse non così remota) che nell’impazienza di attendere la caduta per stanchezza del dittatore si opti un intervento internazionale con truppe di terra. Chissà se a quel punto anche i ribelli della Cirenaica sarebbero disposti ad accettare oltre alle armi e all’appoggio strategico anche una vera e propria forza di occupazione? Sicuramente se mai vi sarà una simile forza in Libia, questa costituirà di per sé un ottimo argomento a favore della propaganda islamita più radicale.

Docente in Storia dell’Africa, Università di Pavia
 

X