La battaglia del latte è ancora agli inizi ma la tensione e gli appelli per la guerra d’Oltralpe hanno già assunto toni aggressivi. E proprio l’ex ministro dell’agricoltura Luca Zaia e il segretario della Lega Umberto Bossi hanno lanciato la campagna per il boicottaggio dei prodotti francesi. Mancava il tocco autarchico e c’è da essere sicuri che non mancheranno orecchie padane pronte a raccoglierlo. Forse non sarà facile spiegare loro quali prodotti non comprare visto che una discreta fetta dei marchi più noti dell’alimentare italico sono di proprietà estera, in genere francese. Non basta dire no al Camembert si al gorgonzola, visto che alcuni zola sono francesi, ad esempio. E il discorso non vale solo per i formaggi. La campagna acquisti dall’esterno intanto continua imperterrita. Entro aprile dovrebbe essere chiusa la vendita dei Salumi Fiorucci alla spagnola Campofrio food. Evidentemente il suino è meno carismatico della mucca da latte per il nostro sistema economico.
Al di là dei facili appelli ad arenarsi contro il gallico invasore, prosegue il lavoro per la cordata tricolore che dovrebbe riprendersi Parmalat, il tempo stringe. Se ne sono accorti anche il ministro Giulio Tremonti e le banche italiane coinvolte: la partita dell’alimentare in Italia è alle ultime battute e le speranze per rientrare in gioco in zona Cesarini sono ridotte perché la nazionale dei difensori dell’italianità del latte e dello yogurt è entrata in campo in ritardo. Il business alimentare italiano fa gola da anni alle multinazionali del settore. Un interesse trasversale e a tutto campo, dai formaggi ai gelati, dall’olio ai vini, senza trascurare alcolici e acqua minerale.
Tra i leader di mercato della filiera alimentare, stando ai dati di Nomisma, abbiamo quattro gruppi esteri nei primi dieci. Sono anni che i grandi giocatori internazionali fanno shopping nel ghiotto campo alimentare del made in Italy, da sempre ritenuto strategico per il nostro sistema produttivo. Il fatturato dell’industria alimentare nel 2010 si aggira sui 124 miliardi, con un incremento del 3,5% sul 2009 e impiega circa 400.000 lavoratori. Con una quota del 12% si posiziona al secondo posto dei nostri comparti industriali, dopo la metalmeccanica. Le esportazioni dei prodotti alimentari italiani valgono quasi 211 miliardi (+ 11% nel biennio 2009/2010) e rappresentano circa il 7% del totale dell’export nazionale. Per dare un minimo di proporzioni nel 2010 abbiamo importato dalla Francia prodotti alimentari per 5,5 miliardi, le voci più importanti sono animali vivi e carni. Formaggi e latticini incidono per 202 milioni.
Nella ininterrotta cessione di marchi italiani all’estero ha giocato un ruolo di rilievo la privatizzazione del gruppo alimentare pubblico da parte dell’Iri, agli inizi degli anni 90, ma la partita era iniziata prima. Nel settore dei formaggi l’americana Kraft aveva rilevato Invernizzi nel 1985, cedendola successivamente a Lactalis nel 2003. Quest’ultima aveva già rilevato da Nestlè la linea Locatelli. Alla fine degli anni ‘80 la Galbani venne inglobata nel gruppo francese Danone, per finire sempre a Lactalis nel 2006 (che così consolidava la sua posizione sul mercato internazionale dei formaggi). Algida fa parte di Unilever mentre Motta è stata acquisita da Nestlè dopo la privatizzazione Sme. Nestlè rafforza notevolmente le posizioni in Italia alla fine degli anni Ottanta con la cessione delle attività Buitoni-Perugina dalla Cir di Carlo De Benedetti.
Sempre Nestlè nel 1994 ha acquisito Sanpellegrino (che controlla a sua volta l’acqua Panna), fondata alla fine del 1800 in provincia di Bergamo e diventata oggi tra i primi gruppi mondiali nel settore delle acque minerali. Nel 1993 la multinazionale cubana Bacardi comprò l’italiana Martini&Rossi, rafforzandosi nel panorama mondiale degli alcolici. Anche la birra Peroni, fondata in Lombardia nella metà del 1800, è passata al colosso internazionale San Miller nel 2003, che oggi ha tra i brand di successo la Peroni Nastro Azzurro. La Moretti fondata a Udine nel 1859 fa parte del famoso marchio olandese Heineken. La privatizzazione del gruppo alimentare pubblico Sme (Iri) ha permesso nel 1993 di consegnare alla Unilever i marchi Bertolli e Carapelli, poi finiti nel 2008 alla spagnola Sos.
Ma rimpiangere oggi l’Iri e il polo alimentare italiano non fa giustizia della storia dei nostri anni ‘80. La Italgel, proprietaria dei marchi Motta, Alemagna, Surgela, Antica Gelateria del Corso, Valle degli Orti, venne acquisita dall’Iri nel 1976. L’azienda, dopo anni di perdite (25 miliardi di lire nel 1981) e l’impiego di energie e abbondanti risorse pubbliche nel 1983 ritrova l’utile e raggiunge i 360 miliardi di fatturato. Nel luglio 1993 il 62% dell’Italgel, nel frattempo cresciuta a 1.600 dipendenti e 740 miliardi di fatturato, viene venduto per 437 miliardi di lire alla Nestlè poiché non c’è italiano disposto ad offrire di più. La bontà e il basso prezzo dei panettoni Motta e Alemagna si spiegavano anche con l’utilizzo di buone materie prime e la scarsa attenzione all’utile da parte della società madre. Una ricetta che a lungo andare non funziona.
La storia industriale italiana è piena di aziende, create o salvate utilizzando denaro pubblico, poi distrutte, con l’appoggio del sistema bancario, l’approvazione del governo del periodo e spesso il tacito consenso del sindacato, da cordate nazionali rivelatesi inadatte ai compiti cui erano state chiamate. Bisogna riconoscere che spesso i marchi italiani finiti sotto il controllo delle multinazionali hanno mantenuto fama, quote di mercato, posti di lavoro e insediamenti in Italia.