Cinquanta assenze massimo. Dopo di che, bocciati. Il che andrebbe pure bene, perché 50 giorni senza mettere piede in classe significa non esserci per un terzo delle lezioni. Peccato che nel calcolo del monte ore “in molte scuole si sta utilizzando questo limite di assenze per reprimere e punire le proteste che noi studenti abbiamo messo in campo questo autunno contro il governo, contando i giorni di occupazione ed autogestione”. La denuncia arriva dalla Rete degli studenti, tutti liceali, arrabbiati perché “che prima o poi sarebbe successo, lo sapevamo già da due anni (Regolamento di coordinamento delle norme per la valutazione degli alunni DPR 122 del 2009), ma la circolare che rende effettiva la disposizione ministeriale è arrivata solo il 4 marzo del 2011 e cioè a tre mesi dalla fine della scuola. Come facevamo a predire il futuro?”.
In teoria, il numero delle ore di assenza raggiunto da ogni studente deve essere comunicato nello scrutinio di metà anno e, con una seconda comunicazione, tra marzo aprile e maggio qualora si stesse per raggiungere il limite stabilito. La circolare firmata dalla ministra dell’Istruzione Maria Stella Gelmini nella quale ha ufficialmente comunicato a professori, presidi e studenti che il limite di assenze tollerato ammonta a 50 giorni (due terzi dell’intero corso), è arrivata però solo a marzo, dopo che già si erano consumate numerose assenze a causa delle proteste e della mobilitazione studentesca che ha caratterizzato tutto il caldo autunno scorso.
Gli studenti che più risentiranno di questa circolare last minute sono quelli di Palermo che – spiega Sofia Sabatino, 20 anni, una delle responsabili nazionali della Rete degli studenti – durante l’autunno hanno occupato in maniera coordinata e continuativa per circa 3 settimane, 21 giorni in tutto. Quindi per arrivare a 50 ci vuole poco. Ed ecco il punto. A novembre i presidi avevano già minacciato di «calcolare le occupazioni e le autogestioni come assenze ma quando è uscita la circolare – incalza Sofia – ne hanno approfittato per prendere due piccioni con una fava». Ad altri studenti invece non è mai stato detto che quei periodi di protesta sarebbero stati registrati. Per tutto questo, i ragazzi hanno chiesto che quelle assenze passate vengano «inserite nelle deroghe giustificate», insieme alle gravi malattie o all’adesione a confessioni religiose per le quali esistono specifiche intese che considerano il sabato come giorno di riposo.
E se così non fosse? «Stiamo ricevendo centinaia di telefonate da altri studenti che magari hanno anche brutti voti, e a marzo avevano già raggiunto il monte ore e adesso si chiedono se devono abbandonare la scuola perché, facendo due conti, hanno superato il limite e quindi sono sicuri di essere bocciati».
Calcolare i periodi di mobilitazione nel monte ore significherebbe scatenare il putiferio e il fuggi fuggi generale con centinaia di studenti che ne approfitterebbero per starsene a casa. La battaglia della Rete è però dettata anche da altre ragioni. Tra gli altri il problema è ora quello di calcolare questa fatidica cinquantina perché – si legge nella circolare – il totale di assenze ammesse cambia di corso in corso. Ci sono i licei dove si esce alle 14 una volta a settimana, quelli in cui il sabato la campanella suona a mezzogiorno e poi ci sono anche da calcolare le ore pomeridiane ed aggiuntive. Saltare il corso di teatro equivale ad una non presenza? Insomma, «è tutta una roba burocratica – spiega Sofia– tant’è vero che non tutte le scuole sono ancora riuscite nell’impresa di calcolare il monte ore complessivo e chissà se ce la faranno».
Poi c’è una battaglia politica da portare avanti, per gli studenti. «Siamo convinti che valutare non possa significare punire, ma capire come migliorare le nostre capacità di apprendimento, includendo e non escludendo i diretti interessati. Siamo contrari al fatto che il criterio con cui dobbiamo essere valutati non siano più le nostre capacità ma il numero di ore che passiamo sui banchi». Infine, gli studenti vogliono «che le nostre assenze per protesta vengano riconosciute come lo è lo sciopero, perché altrimenti è come se tutto ciò che abbiamo fatto per mesi finisca nel cestino quando invece fa parte del nostro percorso e della nostra formazione perché noi in quelle battaglie ci crediamo e abbiamo investito tempo».
Perciò, la Rete ha lanciato una campagna. Ed ha coinvolto un avvocato, «uno per tutti gli studenti perché se no non ce lo possiamo permettere», che sulla questione si è già pronunciato: «I casi di partecipazione a manifestazioni, scioperi o ad occupazioni – si legge nel parere – devono necessariamente rientrare nei casi eccezionali non computabili ai fini delle assenze scolastiche in quanto riconducibili al diritto fondamentale di libera manifestazione del pensiero ex art. 21, al diritto allo sciopero ex art. 40 Cost. e al diritto di riunirsi e associarsi nelle forme e modi previsti dagli artt. 17 e 18 Cost. Tali articoli e principi costituzionali devono intendersi prevalenti rispetto a qualsivoglia normativa nazionale». Ne discende quindi l’illegittimità di eventuali bocciature di studenti che abbiano effettuato un numero di assenze superiori a quelle previste dal Regolamento a causa del computo dei giorni di sciopero e/o manifestazioni di natura studentesca.
Alla class action stanno partecipando in parecchi. Se vincessero? «Le scuole che non si adeguano rischiano sanzioni pesanti, i nostri studenti non verranno bocciati e per le prossime volte ci sarà già un documento al quale appellarsi. Affinché nessuno in futuro debba dire “no non partecipo alla mobilitazione sennò mi bocciano”. Perché tutti hanno diritto a studiare e tutti devono farlo – conclude Sofia – ma bisogna che tutti abbiano anche il diritto ad avere un futuro e senza proteste contro i tagli all’istruzione, chi resta a difenderci?»