Questo è un estratto dal paper: “Martiri di una rivoluzione mai avvenuta:i giovani italiani ai margini del Sessantotto finanziario”. Per leggerlo clicca qui
Ai margini della crisi economica, possiamo oggi comprendere come la rivoluzione finanziaria nei paesi anglosassoni sia stata un nuovo Sessantotto. Il successo delle banche ha portato a uno stravolgimento tale del sistema sociale, da rappresentare una presa di potere generazionale. Come i sessantottini, i nuovi protagonisti della finanza hanno messo in discussione i capisaldi riconosciuti dell’economia, del reddito, dei progetti di carriera e di vita. Li hanno fatti propri, li hanno stravolti e li hanno ridisegnati. In una frase: hanno preso il potere.
I nuovi rivoluzionari hanno usato linguaggi comuni: inglese tecnico e cliché derivati dai media. Si sono posti obbiettivi personali, ma simili: accumulo e individualismo. Hanno condiviso stili di vita somiglianti, chiassosi, materiali. Hanno sviluppato una visione del mondo che era globale come portata e provinciale come ambizioni. E hanno avuto il coraggio di cambiare la società.
I Sessantottini hanno avuto Sartre e Proust; i nuovi rivoluzionari hanno seguito il Nasdaq ed Excel: alla Recherche si è sostituito il numero. Non deve sorprendere: è la realizzazione assoluta della quantificazione del vivere. Perché anche la rivoluzione finanziaria ha avuto i suoi filosofi: un neoliberalismo che dal numero e nel numero cercava la conferma ai suoi postulati, senza lasciare alcuno spazio logico alla critica. La prova delle teorie economiche di Friedman e von Hayek inizia e finisce nelle tabelle. L’analisi economica ha pretese di indagine metafisica.
Il modello italiano è stato diverso rispetto a quello delle altre economie sviluppate. Anche qui il Sessantotto ha portato a una rivoluzione negli anni Ottanta, ma con lo Stato al posto della finanza. Non è stato lasciato al “capitale” il compito di riformare la società, come negli Stati Uniti o in Gran Bretagna. La politica è rimasta al centro del cambiamento.
È stato così che negli anni Ottanta in Italia si è avuta una forte accelerazione economica, con l’ampliamento delle elite sociali, a costo di un aumento significativo del debito pubblico. Sono dinamiche che hanno riguardato anche altri paesi europei, con Germania e Francia primi fra tutti.
Una volta accumulati stock di debito appena sostenibili per le economie, il ricambio si è fermato. In Italia la “Generazione Mille Euro” non è altro che la generazione degli esclusi dalla rivoluzione finanziaria mondiale.
Ai margini della crisi economica, saremmo forse portati a pensare che sia stato un bene per il nostro paese rimanere ai margini della rivoluzione finanziaria. Ma commetteremmo l’errore di giudicare l’evoluzione della finanza anglosassone solo nei suoi aspetti negativi. I problemi attuali degli Stati Uniti non sono dovuto alle innovazioni di Reagan, ma alla gestione che se n’è fatta dopo. L’abolizione nel 1999 del Glass-Steagall Act ha abolito la separazione tra banche d’affari e d’investimento, facendo decadere una serie di controlli molto importanti per i consumatori. Negli stessi anni esplodeva il commercio dei muti, con pochissima regolamentazione. Avveniva durante i mandati di Bill Clinton. Oggi sappiamo che conseguenze di sono state.
Scriveva Jean Baechler commentando i moti di Parigi del 1968 che la società si trovava nella situazione del “timoniere che conosce l’arte della navigazione, ma non sa dove andare”. Oggi, ai margini della rivoluzione finanziaria, ci troviamo nella situazione opposta: il timoniere sa dove vorrebbe andare: verso un mondo economia orientata a un maggior equilibrio di risorse, di consumi, di dialogo tra le generazioni. Ma ci ricordiamo l’arte della navigazione?
*Docente di economia e politica presso l’Università di Potsdam e Senior Fellow di bigs-potsdam.org