Confermato: Eni e UniCredit finanziano i ribelli libici

Confermato: Eni e UniCredit finanziano i ribelli libici

Saranno Eni, UniCredit e Sace a finanziare i ribelli libici. È stato il ministro degli Esteri Franco Frattini, oggi a Bengasi per inaugurare il consolato italiano nella città simbolo della lotta contro il regime di Gheddafi, a fugare i dubbi sulla provenienza del miliardo e mezzo di euro che andrà a finanziare il Consiglio nazionale transitorio degli insorti. Frattini ha sottolineato che, nell’ambito del memorandum siglato a Roma a inizio maggio, «l’Italia non solo conferma di riconoscere il Consiglio come unico rappresentante del popolo libico ma prende anche l’impegno con Eni e UniCredit di fornire al Consiglio ciò di cui ha bisogno il popolo libico», aggiungendo – come si legge sul Financial Times – che Piazza Cordusio e la compagnia guidata da Paolo Scaroni forniranno «centinaia di milioni di euro necessari alla vita quotidiana della popolazione». L’operazione, ha aggiunto infine Frattini, «sarà garantita dagli asset libici congelati in Italia» attraverso Sace. In buona sostanza, lato UniCredit, si tratta di un anticipo. 

In realtà, come anticipato da Linkiesta, l’impegno del Cane a sei zampe, la prima società petrolifera del Paese, non è una novità assoluta. In base al Trattato di amicizia italo-libico, siglato nell’estate del 2008, la copertura finanziaria dei cinque miliardi di dollari in 20 anni sarà fornita da «società che operano nel settore della ricerca e della coltivazione di idrocarburi […] con una capitalizzazione superiore ai 20 miliardi di euro». Che tradotto dal burocratese, equivale a Eni, l’unica società italiana con i numeri in grado di soddisfare i requisiti richiesti dal Trattato.

La novità vera riguarda la prima banca italiana, che per il momento non ha ritenuto opportuno rilasciare commenti a Linkiesta. Bocche cucite, dunque, ma dalle parole di Frattini il coinvolgimento diretto di UniCredit nelle vicende del suo principale azionista, la Libia, è ormai ufficiale. Una discesa in campo che spariglia le carte sul tavolo di Piazza Cordusio. A metà maggio, interpellate da Linkiesta, fonti vicine alla banca avevano smentito un impegno finanziario diretto. Il ragionamento era: pur essendo in mano libica la maggioranza del capitale sociale di Piazza Cordusio, la banca non detiene attività operative nel Paese. Essendo congelati, oltre all’intero pacchetto azionario in mano all’ex Raìs, anche i diritti di voto in assemblea, il problema si sarebbe posto in caso di una votazione sull’aumento di capitale, un’eventualità questa che continua ad essere smentita dal top management. 

Ora, con un esborso di «centinaia di milioni di euro», più precisamente 150 milioni di euro da Eni e 300 milioni da UniCredit – Sace, come spiega Frattini, garantirà le operazioni di credito per l’export – lo scenario per la banca guidata da Federico Ghizzoni cambia radicalmente. Il finanziamento sarà attinto dai 3 miliardi di euro di depositi libici congelati a inizio marzo da Bruxelles. 

Una ragionevole spia del fatto che UniCredit avrebbe potuto sciogliere gli indugi e finanziare il Consiglio temporaneo anti-Gheddafi sta nell’arrivo, domenica scorsa, di alcuni emissari della banca a Bengasi, in una missione in cui non era previsto il coinvolgimento del top management.

Intanto, dal Wall Street Journal emergono nuovi dettagli sulla perdita da 1,3 miliardi di dollari registrata dalla Lia, il fondo sovrano libico, su un investimento affidato a Goldman Sachs, che coinvolgeva anche titoli di Eni e UniCredit.  

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