Difficile che il progetto vada in (super)porto

Difficile che il progetto vada in (super)porto

Prima le amministrative, poi il porto. Ieri sera, al termine di un incontro a Palazzo Chigi e tra i vertici di UniCredit e quelli della Regione Friuli-Venezia Giulia, si è finalmente dipanata la nebbia sul progetto da 750 milioni di euro, di cui si farà garante Gianni Letta, per «realizzare un moderno terminal container» nel capoluogo giuliano. L’intesa, dopo un passaggio in Conferenza Stato-Regioni, arriverà entro l’estate, attraverso la nomina di un commissario straordinario. Un meccanismo piuttosto noto in Friuli Venezia Giulia, in quanto utilizzato per l’ampliamento dell’autostrada A4, gallina dalle uova d’oro per le casse della holding regionale Friulia, che la controlla attraverso Autovie Venete. A garanzia dell’investimento su Trieste, Piazza Cordusio ha ottenuto uno stop dei contributi pubblici ai terminal concorrenti. 

L’aria che si respira alla Torre del Lloyd, la splendida sede dell’Autorità portuale, in piazza Unità d’Italia, è di trionfo. E arriva in un momento cruciale: in città si sta consumando un’originale lotta intestina tra il senatore Pdl Giulio Camber, deus ex machina della politica cittadina, Roberto Antonione, ex coordinatore nazionale di Forza Italia ora candidato sindaco. Il tutto mentre il business dei container si sposta lentamente in acque più serene e meno burocratiche, come Capodistria.

Ci voleva un’apertura decisa del Governo nei confronti di Trieste, ottenuta ieri, in piena campagna elettorale, grazie agli ottimi rapporti tra Marina Monassi, compagna di Giulio Camber e vicepresidente di UniCredit Corporate Banking, e il ministro per le Infrastrutture Altero Matteoli. Che spinse per il suo secondo mandato da numero uno dell’Autorità portuale. Nomina ottenuta poco prima dello scorso Natale grazie a una mossa fulminea da parte del Governatore Tondo, nella speranza di sedare le tensioni tra i due soloni del Pdl cittadino. Una decisione presa bypassando le indicazioni della Provincia, che puntava invece alla ricandidatura dell’uscente Claudio Boniciolli. 

Proprio lui, il risanatore delle finanze della Torre del Lloyd, non viene invitato alla presentazione del progetto che Piazza Cordusio intende finanziare. Nonostante, dice lui, le ripetute lettere indirizzate a Fabrizio Palenzona, vicepresidente di UniCredit. Il suo mandato, scaduto il 4 dicembre 2010, non verrà rinnovato. Poco male. Una decina di giorni dopo, il dicembre, alla presenza di Frattini, Gianni Letta e Raffaele Fitto, Palenzona e Federico Ghizzoni, ad di UniCredit, presentano la «Piattaforma logistica Alto Adriatico». Un investimento da un miliardo di euro, in collaborazione con la danese Maersk, tra i principali player nella logistica marittima, per un’infrastruttura in grado di movimentare 5 milioni di teu (unità di misura standard per i container) l’anno, attraverso un «gateway automatizzato» a Monfalcone, che smisterà il 60% dei container via rotaia, attraverso una società di gestione ferroviaria ad hoc, controllata da Maersk e partecipata da Fs: un investimento da 200 milioni di euro per potenziare la linea Monfalcone-Tarvisio verso l’Austria, la Baviera e i paesi della Nuova Europa. I dragaggi dei fondali monfalconesi, circa 80 milioni di euro, saranno a carico dello Stato, mentre per Trieste il disegno prevede il raddoppio del Molo VII, realizzato dal Gruppo Maneschi, titolare della concessione fino al 2031. 

Almeno nelle intenzioni, una volta a regime lo scalo dovrebbe competere con il Northern Range, il sistema portuale sovranazionale che comprende gli hub di Amsterdam, Rotterdam e Amburgo. Fine lavori prevista per il 2016, macchine a pieno regime entro il 2033. Piccola nota di colore: Palenzona non ha scontentato solo Boniciolli. I vertici della Regione Liguria lo hanno criticato nei mesi scorsi per aver lasciato la poltrona della fondazione Slala, chiamata a sviluppare la logistica nel Nordovest, proprio a favore dell’hub Alto Adriatico. Obiezione che deriva dal coinvolgimento di alcune famiglie tortonesi, paese di cui è stato sindaco Palenzona, nel progetto nordestino.

Va da sé che, volente o nolente, Trieste ha bisogno di Monfalcone. Lo ha ribadito ieri sera lo stesso Matteoli: «Daremo il massimo supporto istituzionale all’iniziativa privata di realizzare la piastra logistica di Monfalcone. Sarebbe miope rimanere indifferenti e non valutare la possibilità di dare attuazione ad una proposta organica che offre al Paese e all’Unione europea il rilancio di un contesto economico completamente sottoutilizzato e poco infrastrutturato». In una recente sortita veneziana, l’ad di Trenitalia, Mauro Moretti, ha ricordato che da quattro anni giace sul tavolo della Torre del Lloyd un disegno per «l’infrastrutturazione ferroviaria dei Moli V e VII e di Campo Marzio». Già sottoposto, dice Moretti, ai nuovi vertici dell’Autorità portuale. La quale, tuttavia, non ha i numeri necessari a negoziare. 

La prima gestione Monassi, dal 2004 al 2006, ha lasciato l’autorità portuale in profondo rosso, quindi senza capacità negoziale.Nel bilancio 2009, ultimo disponibile, si nota una crescita del patrimonio netto dai 663mila euro del 2006 ai 23 milioni del 2009, con utile netto a quota 9 milioni di euro, più 129% sul 2008. Conti in miglioramento, dunque, ma traffici in discesa libera: meno 17,5% sul 2008. Numeri lontanissimi dagli obiettivi della banca guidata da Ghizzoni, che non hanno convinto Maurizio Maresca, vicepresidente di UniCredit Logistics. Maresca, ex numero uno dell’Authority giuliana, la scorsa estate si espresse in favore della creazione di un unico ente regolatore per Trieste e Monfalcone, liquidando i piani alti della Torre Lloyd e sfruttando il regime doganale di “punto franco” di cui gode ancora oggi lo scalo triestino. Ipotesi, è il caso di dirlo, che non andò mai in porto. 

Lo stesso Maresca, a inizio febbraio, aveva messo ulteriormente il dito nella piaga, affermando di essere convinto che «se si risolvessero le criticità del porto di Trieste, che non sono le infrastrutture portuali, del tutto secondarie, ma invece le infrastrutture ferroviarie di alimentazione da ovest o da est e meglio ancora se da tutte e due le parti, allora Trieste potrebbe svolgere un ruolo da porto internazionale. Trieste oggi ha una criticità di base che è rappresentata da un limite fisico che non la può far giungere a 800 mila teu. Oggi non ne fa nemmeno 250. Ma è certo che se ci fossero le infrastrutture serie per supportare Trieste, il suo porto potrebbe avere un ruolo diverso». Una parziale risposta è arrivata dalla Regione, che sempre a inizio febbraio ha stanziato 5 milioni di euro a sostegno del trasporto merci da Trieste verso il centro Europa. 

L’hub Alto Adriatico è una boccata d’ossigeno per Monfalcone, città dove Fincantieri plaude al progetto, è stretta tra le mire di Venezia verso la Grecia e lo Jonio e i timori sullo sviluppo del vicino scalo sloveno di Capodistria. Come se non bastasse, la Commissione Europea da tempo sta discutendo se deviare l’asse del famigerato “corridoio V” verso il Baltico, tralasciando Trieste in favore di Venezia. 

Campagna elettorale a parte,  “lady porto”, tornata al timone dopo la parentesi da direttore generale dell’utility Aps-Acegas, deve fronteggiare un’inchiesta della Corte dei Conti aperta un anno fa nei confronti suoi e dell’allora segretario generale dell’autorità portuale, Antonio Guerrieri. Un danno erariale da due milioni e 300mila euro, per via dell’affitto agevolato, 296 euro l’anno, concesso dall’Authority alla Greensisam, società che fa parte del Gruppo Maneschi, già contractor per l’ampliamento del Molo VII. Insomma, un cortocircuito. 

Intanto, la Regione è in cerca di fondi per mantenere i livelli occupazionali nella Ferriera di Servola, acciaieria acquistata a metà anni ’90 dal Gruppo Lucchini dopo la parentesi gestionale di Andrea Pittini, storico nome dell’imprenditoria friulana e titolare dell’omonima industria pesante di Osoppo, provincia di Udine. La necessaria riconversione degli impianti, senza il superporto, si fa sempre più ardua.  

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