L’iter di approvazione. I lavori del PGT iniziano il 29 giugno del 2005 con l’avvio di procedimento relativo alla redazione degli atti del Piano di Governo del Territorio. In seguito è stato istituito l’Ufficio di Piano, inaugurato il 26 maggio 2008 in via Cenisio. Il provvedimento è passato a Palazzo Marino con i soli voti della maggioranza: 34 favorevoli (compreso quello del sindaco Letizia Moratti), due contrari e un astenuto. Sette mesi di polemiche, rinvii, riposizionamenti. L’Udc, con Pasquale Salvatore, ha appoggiato Pdl e Lega, Carlo Montalbetti dell’ Api e Barbara Ciabò di Fli hanno votato contro, astensione per Manfredi Palmeri (FLI), presidente del consiglio comunale. 2.748 gli emendamenti dell’opposizione, 4765 le osservazioni presentate al piano da 1200 cittadini. La discussione di ciascuna ne avrebbe certamente bloccato l’approvazione (in scadenza il 14 febbraio). La maggioranza ha aggirato il rischio, procedendo a una votazione per accorpamento, attraverso otto gruppi omogenei suddivisi per tematiche. Tre votazioni per ciascun gruppo (proposta di accogliere, di accogliere parzialmente, di non accogliere), infine il voto sui 15 allegati alla delibera. Una quarantina in tutto.
Come funzionava prima. Il nuovo pgt è uno strumento urbanistico introdotto in Lombardia – in sostituzione del vecchio prg (piano regolatore generale) – dalla legge regionale 12 dell’11 marzo 2005 e ha lo scopo di pianificare lo sviluppo urbanistico e territoriale di una città. Rispetto al superato prg, s’ispira a «criteri di sussidiarietà, adeguatezza, differenziazione, sostenibilità, partecipazione, collaborazione, flessibilità, compensazione ed efficienza». La legge 12 prevedeva che tutti i comuni lombardi adottassero un pgt entro il marzo del 2009, data poi prorogata dal Consiglio regionale al marzo del 2011.
Il vecchio piano regolatore di Milano (che determinava l’attività edificatoria all’interno del territorio comunale) risale, addirittura, al 1953. Da allora ha subito 326 varianti che hanno tentato di fronteggiare le mutazioni dell’assetto urbanistico della città. L’ultima, e più imponente, è del 1979-80 e si riferisce al piano dei trasporti: potenziamento della viabilità tangenziale, un collegamento ferroviario tra le stazioni di Bovisa (FNM) e di Porta Garibaldi, il passante ferroviario (che collega le stazioni di Porta Garibaldi e di Porta Vittoria), e il completamento della terza linea della metropolitana. Da allora Milano ha vissuto, in un certo senso, di rendita e di adeguamenti via via progressivi e non concepiti dentro un quadro globale più organico. In questo senso la data del 5 febbraio scorso è dunque storica, per il capoluogo lombardo.
Se il vecchio prg si basava su principi come centralismo (una certa rigidità dei cambiamenti, pensata per una città meno dinamica di oggi) e uniformità (trasformazioni moderate, ovunque e uguali per tutti), il nuovo strumento immagina invece un tessuto urbano in continuo mutamento e un approccio decisamente più flessibile: dettaglio non marginale che ha suscitato molte contestazioni e perplessità.
Cosa cambia oggi e cosa è il pgt. La scrittura del nuovo pgt, chiamato “Milano per scelta”, è ispirata al concetto di “big society” di David Cameron. Una società che si costruisca da sé, in cui sia meno forte la regia statale o comunale e più attivo il ruolo degli attori privati anche in ambiti sociali e pubblici. Una collaborazione che benefici tutti, in sostanza. Proprio per questo il piano – di oltre duemila pagine e 194 tavole tecniche – è il risultato di 48 mesi di osservazione sul territorio. La città è stata suddivisa in 88 nil (nuclei di identità locale), ossia in quartieri. Sono stati coinvolti i residenti, le associazioni, le strutture: sondaggi, interviste, forum, tavoli, convegni, incontri. Dall’ascolto di esigenze e proposte è nato il piano che disegna la città da qui al 2030.
Il provvedimento è articolato in tre atti: Documento di Piano (PdP), Piano dei Servizi (PdS) e Piano delle Regole (PdR). il PdS si occupa della definizione delle strutture pubbliche o di interesse pubblico, il PdR individua la destinazione delle aree: quelle agricole, di interesse paesaggistico, storico o ambientale, non trasformabili e regola le modalità degli interventi sugli edifici esistenti e su quelli di prossima realizzazione.
Gli abitanti di Milano, oggi, sono circa un milione e trecento: il pgt ne prevede – nel 2030 – circa un milione e 780mila. Come distribuirli? Preso atto che il suolo è una risorsa esauribile e preziosa, il piano ipotizza di ridensificare quella aree che occupano già volume nella città, ma che risultano disabitate e degradate. In gergo, le chiama “ferite”: 7 scali ferroviari (ex Farini dove sono previsti 19 grattacieli; Porta Genova; Bovisa dove sorgerebbe la cittadella scientifica e tecnologica) , 5 caserme del demanio, zone del Comune e private.
In tutto: 7 milioni di metri quadrati edificabili per 18 milioni di metri cubi di cemento, e 26 nuovi quartieri. Si passerebbe da un’occupazione del territorio del 73 per cento del 2009 (ultimo dato disponibile), al 65 del 2030 (dato ipotizzato), anche se occorre ricordare che le associazioni ambientaliste trovano questi numeri incongrui e prevedono un aumento fino all’80 per cento di suolo edificato. Abolite le vecchie destinazioni d’uso (chi costruisce cosa e dove): saranno le esigenze della città a determinare cosa sorgerà in zona. Si manterrà lo stesso indice di edificabilità: 0,50 metri quadri su ogni metro quadro (a CityLife siamo intorno all’1). Vicino a stazioni e ferrovie si partirà, invece, da un indice di uno.
Lo spazio recuperato sarebbe riqualificato a verde e servizi. Anche le infrastrutture cambierebbero completamente volto. 58 nuove stazioni nel 2015, 115 nel 2030, per un totale di 259. Le linee metropolitane passerebbero a 6. Nel 2015 la 5 (San Siro-Bignami), la 4 (San Cristoforo-Linate) e la Circle Line che collegherebbe la città da Garibaldi a San Cristoforo. 27 chilometri per 15 fermate, sul modello di Londra, per un costo di 140 milioni di euro recuperabili attraverso le plusvalenze ottenute dalla riqualificazione degli scali ferroviari.
Altre sei linee metropolitane entro il 2030. In realtà, su 14 miliardi di euro necessari, ne mancherebbero 9 per completare l’ambizioso potenziamento. Chi ha redatto il piano confidava che in qualche modo si troveranno, anche grazie all’aiuto dei privati: «Ci apriamo alla possibilità di catturare nuove risorse». Per il verde, l’obiettivo è invece quello di passare dagli attuali 89 parchi esistenti ai 116 del 2030 (oltre 63milioni di metri quadri di verde). In questo senso, le aree interessate si concentrerebbero attorno al parco Sud, Cascina Merlata, Porto di Mare e Monluè. Sul parco Sud, su cui incombe la minaccia di edificazioni selvagge, chi ha progettato il pgt risponde che si potrebbero, al contrario, strutturare meglio i contratti (un tempo annuali e prorogabili) della popolazione agricola che ci lavora. In realtà si parla anche, sull’area, della possibile costruzione da parte dell’Amsa di un nuovo inceneritore, la cui autorizzazione – in ogni caso – dovrebbe competere alla Provincia. Altro punto discusso del pgt è l’approccio assai più flessibile, rispetto al passato, nella concessione delle aree di edificazione.
Il piano dei servizi introduce il “sistema della perequazione”. A ogni area è cioè assegnato un indice di costruzione potenziale dello 0,5 per cento (0,2 nel Parco Sud). Questo indice può essere esercitato, trasferito, scambiato o incrementato in una “borsa dei diritti edificatori”. Se un soggetto privato ha disponibilità di costruire in un’area (poniamo un parco), ma tale area è inedificabile perché deve raccogliere il verde, il privato potrà esercitare i suoi diritti di edificazione in un’altra zona della città. In questo modo l’amministrazione può liberare nuovi spazi a verde e concentrare le nuove edificazioni nelle zone più servite dalle infrastrutture del trasporto pubblico. Il vero problema, attorno a cui si giocheranno molte partite, è chi decide di assegnare gli indici citati e quali sono i criteri di assegnazione e trasferimento. Nel piano, questo punto rimane molto vago.
In realtà, lo scorso 25 gennaio è passata in consiglio comunale la delibera per l’istituzione dell’Agenzia per la perequazione. Dovrebbe essere una società a responsabilità limitata con il ruolo di “agevolare e promuovere l’incontro fra domanda e offerta all’interno del mercato dei diritti edificatori” e guidare l’amministrazione comunale nell’“attivare, gestire e promuovere procedure di evidenza pubblica per la cessione a terzi dei diritti edificatori generati dai beni immobili di proprietà del Comune”. Una partecipazione della società a controllo pubblico è riservata (per il 70 %) a soggetti pubblici istituzionali, di cui almeno il 50,1% del Comune, lasciando al mercato libero la quota restante del 30%, con il vincolo che ogni privato non superi il 15% e che, secondo un emendamento proposto dal Pd e approvato, non sia proprietario di aree. Un contratto di servizio regolerà il rapporto fra Agenzia e comune. Infine c’è il capitolo servizi.
Crescerebbero i metri quadri gli spazi dedicati alle attività culturali, mentre sarebbero resi disponibili 10mila nuovi alloggi a 30 euro al metro quadro annuo di affitto. Si passa da una sussidiarietà verticale (maggiore regia dell’ente amministrativo e pubblico nella distribuzione dei servizi) a una sussidiarietà orizzontale (ampia delega ai privati e ai cittadini stessi). Si individuano degli stakeholder come residenti, privati, società immobiliari e di trasporti, la Borsa, associazioni, Carabinieri e Polizia e si pianifica con loro la gestione dei servizi. Il pgt rispetta la Legge nazionale 1444/1968 che prevede – per i comuni sopra i 10mila abitanti – 18 metri quadri di aree destinate a servizio per ciascun residente, ma muta completamente il quadro dei vincoli dentro cui si definiranno i servizi da localizzare. Ci sarà anche qui un meccanismo di domanda e offerta. Il comune accrediterà i soggetti che potranno erogare i servizi, e stabilirà l’assegnazione di quote della nuova edificazione da cedere per implementare i servizi, senza precisarne la tipologia, ma distinguendo tra aree verdi e servizi costruiti (scuole, ospedali, etc). Anche qui s’insidia però il solito interrogativo: chi accredita chi? Con quali criteri? Nel piano non è ben precisato. Il rischio è che il dialogo col privato s’apra a orizzonti speculativi, se non vi è – a monte – una forte regia di controllo.